Scotto: quando le nomine del Csm diventano calciomercato

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Nessun moralismo, ok. Ciascuno sceglie con chi andare a cena la sera, ok. Tuttavia, una leggera preoccupazione è legittimo esplicitarla. Perché se un parlamentare dismette i suoi panni istituzionali e si mette a brigare sulle nomine del Csm, significa che qualcosa nel gioco democratico non va.

E se quello stesso parlamentare prova a mettere becco sul destino della Procura di Roma, dove è in corso un’indagine molto delicata, il problema diventa doppio. Un assist clamoroso a chi l’autonomia della magistratura ha sempre voluto distruggerla. Nell’ordine, berlusconiani di vecchio conio, post berlusconiani e berlusconiani preterintenzionali.

Non credo di esagerare se dico che qui ci troviamo davanti a una commistione che non si era mai manifestata in maniera così evidente e pubblica, almeno dai tempi più oscuri della Prima Repubblica.

Un gruppo di commensali: politici, magistrati, imprenditori calcistici che si accomodano insieme e decidono chi va dove. Non si parla di calciomercato, ma di procure. E dunque di giustizia. È tecnicamente una lesione della divisione liberale dei poteri dello stato. E dunque una deformazione della democrazia repubblicana.

La cosa singolare è che a farlo sono quelli che da anni impartiscono lezioni di liberalismo alla sinistra di cui pure dicono di fare parte. E che hanno urlato alla deriva autoritaria, ma sempre quando questa riguarda gli altri.

L’indagine farà il suo corso e in merito al giudizio su quanto accaduto sottoscrivo parola per parola quanto affermato dall’ex Procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti.

Ma nessuno può scherzare sul punto di fondo: non ti puoi candidare a essere “argine” del populismo e poi rompere con il popolo sul rapporto delicatissimo tra il potere legislativo e il potere giudiziario. La Costituzione ha una regola aurea: i parlamentari fanno i parlamentari e i magistrati fanno i magistrati. Con meno di questo, abbiamo già messo un piede nel regime.