Un figlio non si può programmare come si fa con uno spettacolo televisivo o un concerto

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Avevo trent’anni e le mie giornate si susseguivano rapide e concitate tra interviste, prove a teatro, show e musica.
Quando provai ad averlo, già guardavo con tenerezza i negozi dedicati all’infanzia e immaginavo una stanza dai colori pastello e con una piccola culla al centro. Ma è stata una felicità breve. I mesi passavano e questo bimbo non arrivava. Sono andata dal ginecologo per un controllo e lì ho fatto l’amara scoperta: ormai era troppo tardi.
Ma anche io volevo donare qualcosa di buono come quello che avevo ricevuto nella vita.
Così ho riversato tutto l’amore che avevo dentro sui miei due nipoti. Mio fratello, purtroppo è scomparso giovane, così sono diventata per loro una sorta di ‘papà’ più che di zia. Poi mi sono dedicata alle adozioni a distanza: sostengo bambini po’ in tutto il mondo e di tanto in tanto li vado a trovare. Non dimenticherò mai l’emozione che ho provato quando sono stata in Guatemala a incontrare Luis, che allora aveva otto anni. C’era la madre e un altro fratellino che subito mi si è stretto al grembo.
Mi sono, per così dire, circondata di infanzia, riuscendo a colmare quel vuoto che avevo dentro. La spontaneità e l’innocenza di questi bimbi mi permette di invecchiare in modo sereno, di placare l’irruenza del mio carattere, lasciando spazio a una Raffaella più pacata, razionale e paziente.”
– Raffaella Carrà