Valérie Perrin – Cambiare l’acqua ai fiori – Roma, Edizioni e/o, 2020, 489 p.

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Di questo romanzo – pubblicato lo scorso maggio 2020 nella sua XIV ristampa dopo solo due anni dalla prima edizione in Francia – si è detto di tutto e di più; da: “Il romanzo più bello del mondo” (da parte di ignoti lettori e del Corriere della sera), a: “una lettura deludente”, con commenti poco edificanti da parte di alcuni amici che lo avevano letto per primi. Allora, l’unica cosa da fare per averne un’idea precisa era quella di leggerlo personalmente – forse la stessa che ha spinto in alto le vendite… – cosa che comunque “male non avrebbe fatto”, né al corpo né alla mente!

Un’idea che subito riassumiamo in un rapido commento: un buon libro senza nulla di eccezionale o speciale. Idea che ora approfondiremo nello specifico.

Per continuare a leggerlo, dopo le prime pagine sfogliate con curiosità, occorre superare la sottile, un po’ opprimente, vena di angoscia che colpisce nello scoprire due aspetti non per tutti positivi. Primo: tutto il romanzo – ambientato in un paesino francese della Borgogna – si svolge prevalentemente… in un cimitero!, con annessi e connessi: continue ripetizioni di date di nascita e morte, necrologi (alcuni per la verità anche da appuntare), funerali, esumazioni, ecc. ecc.; la protagonista, Violette Toussaint (“tutti i santi”) e la sua sfortunata vita – ecco il secondo motivo: è veramente ma veramente scalognata, capitano tutte a lei, nella sua mai desiderata e desiderabile esistenza pregna di profonde sofferenze, maltrattamenti parentali, disgrazie,… e vive in un alloggetto (con annesso ben coltivato orticello) posto all’ingresso dello stesso cimitero di cui è “guardiana della morte”. Se riuscite a superare questo iniziale “freno a mano tirato”, poi la lettura scorre facile ed a tratti interessante, facendo scoprire altre cose, anche gradevoli, curiose, spiritose, soprattutto legate alla forza e capacità dell’animo umano (ella stessa saprà reagire vigorosamente alla malasorte), ed alla sua imprevedibilità comportamentale, il tutto esposto con un linguaggio secco, asciutto, semplice, non esaltante ma coinvolgente.

La vita di Violette dopo il, forse troppo frettoloso, matrimonio con Philippe di dieci anni più grande “…dietro di lui c’era sempre un ingorgo di squinzie…”, diventa sempre più un inferno, a causa di ripetuti tradimenti, scarsa o nulla voglia di lavorare, nessuna idea di partecipare in qualche modo all’economia ed alle consuetudini familiari, ed ancora senza alcuna passione ed interesse né per la bambina che nasce, Léonine, che anzi maltratta, né per il lavoro: il primo apertura e chiusura delle sbarre ad un passaggio a livello, il secondo al cimitero, appunto; marito che alla fine l’abbandona senza alcun preavviso o parola.

La chiave di fondo di questa strana vicenda, che fa comprendere ed impronta l’intero testo, è racchiusa nella notevole personalità della protagonista Violette, apparentemente fragile, sciatta (ma sotto gli abiti grigi o scuri indossa sempre tessuti primaverili), e dal forte, sensibile e determinato carattere, altruista, e dalle forti doti reattive alle avversità. Doti queste che esaltano e risaltano nelle varie vicende narrate, in un equilibrio ed una piattezza della situazione che però cambia totalmente quando un poliziotto, Julien, si presenta da lei con in mano le ceneri di sua madre in un’urna, ceneri che vuole deporre su una tomba “sconosciuta” (ma poi il diario di lei che lui le donerà chiarirà il tutto), quale ultimo gesto di rispetto. Si dipana con questa presenza, e con quel diario, una matassa nella vita di quei genitori e tra flash-back esistenziali di Violette, che oltre a spiegarci le cose, introduce analisi introspettive dei sentimenti umani. Anche le brevi apparizioni di personaggi minori sono significativi per questa comprensione: i genitori di Philippe, i necrofori e gli addetti delle pompe funebri, Sasha, il precedente guardiano del cimitero, Célie, l’unica vera amica.

L’evoluzione e la conclusione del romanzo passano attraverso la morte orribile della bimba in circostanze misteriose, che verranno ricercate anche dal padre, ma scoperte da Violette solo alla fine, perendo il padre in un incidente con l’amata da lui, più della moglie, moto, e i rari ma intensi rapporti e frequentazioni tra Violette e Julien, con uno zuccheroso lieto fine che non ha attenuato in noi “la sottile vena di angoscia”.

C’è anche una, ripetuta, curiosa e dissacrante e miscredente revisione del “Padre Nostro”, massima preghiera cristiana.

Valérie Perrin è la moglie del famoso regista, sceneggiatore e produttore Claude Lelouch, di cui per anni è stata fotografa di scena.

Franco Cortese Notizie in un click