Vilipendio al Capo dello Stato, Storace: “Una norma salvacasta, difesa proprio dal Colle”

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Vito Comencini è iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di vilipendio al Capo dello Stato. Un film già visto per Francesco Storace, che con Luca Rocca del quotidiano romano Il Tempo, ripercorre la sua vicenda giudiziaria, quando venne condannato per aver definito “indegno” l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il precedente con Napolitano e il processo

Condannato in primo grado a sei mesi di reclusione, poi assolto in appello. La ragione delle due sentenze opposte è presto spiegata dal direttore del Secolo d’Italia. «Perché nel corso del processo di primo grado, evidentemente, le pressioni furono fortissime». In quell’occasione, ricorda l’intervistatore, Storace rinunciò anche alla prescrizione, correndo un bel rischio. «Pensi che, all’inizio del processo d’appello, i giudici stavano per dichiarare il reato prescritto, ma io mi opposi e loro sbiancarono. Non avevano nessuna intenzione di mandarmi in galera».
Nel corso del processo, Storace chiese più volte a Giorgio Napolitano di prendere posizione. Cosa che il presidente emerito della Repubblica si guardò bene dal fare. «Mi ricevette – ricorda l’ex governatore del Lazio – perché io riconobbi di avere esagerato nei toni, però il processo proseguì. Ma nel mio prossimo libro racconterò ciò che mi disse Marra, il segretario generale del Quirinale».
Storace: “Allucinante che la norma sia ancora in piedi”

Perché a distanza di anni siamo ancora al punto di partenza e un deputato della Lega rischia un analogo iter processuale? Storace ricorda che, quando si trattò di abolire questa norma anacronistica, fu proprio la Camera a fermare tutto. «Ed è allucinante che quella norma sia ancora in piedi. Allucinante perché, da un lato si conduce la battaglia contro la casta, dall’altro si tiene in piedi il classico reato di casta. Oltretutto per il vilipendio serve l’autorizzazione del Guardasigilli, che così potrebbe decidere di concederla per un collega dell’opposizione». Per Storace, sarebbe più semplice se il capo dello Stato, in questo caso Mattarella, agisse come un semplice cittadino. «Se si sente offeso può denunciare per calunnia o per diffamazione». Ma perché il Parlamento non riesce ad approvare la norma? Per Storace la risposta è semplice: “Perché è proprio il Quirinale a opporsi”.                                                                                  fonte https://www.secoloditalia.it/