8 AGOSTO 1956, IL DISASTRO DI MARCINELLE: 262 MINATORI, DI CUI 136 ITALIANI, UCCISI NELLE VISCERE DELLA TERRA

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Dopo la Seconda guerra mondiale il Belgio si ritrovò con industrie minerarie ancora funzionanti, ma senza la manodopera sufficiente per mandarle avanti al massimo delle proprie potenzialità. La necessità di forza lavoro spinse il governo belga a firmare con quello italiano, il 23 giugno 1946, un protocollo col quale l’Italia si impegnava ad inviare 50.000 lavoratori in cambio di determinate quantità di carbone a basso costo. Buona salute e un’età non superiore ai 35 anni. Questo bastava per essere “reclutati”.
Nei manifesti appesi in molte città italiane si parlava solo di lavoro e buone prospettive, nessun riferimento preciso a forme contrattuali, salari e soprattutto condizioni di lavoro.
Nel 1956 c’erano ormai 45.000 operai italiani nelle miniere del Belgio, molti di loro, scesi per la prima volta nel sottosuolo dopo l’emigrazione, lavoravano in condizioni durissime.
Stipati in baracche fatiscenti, in cantine maleodoranti e perfino in ex campi di prigionia, gli italiani oltre che con il lavoro massacrante dovettero confrontarsi, come tanti altri migranti di ogni luogo e tempo, con un clima di profonda xenofobia e razzismo.
L’8 agosto del 1956 a Marcinelle, una delle miniere di carbone del Belgio, a seguito di un incendio scoppiato a quasi mille metri di profondità, 262 minatori, di cui 136 italiani, non riuscirono a tornare in superficie. Fu il terzo incidente per numero di vittime che coinvolse nostri connazionali all’estero. I primi due, a Monongah e Dawson, furono anch’essi disastri minerari.
Dopo la catastrofe un primo processo condannò soltanto l’ingegnere Calicis a 6 mesi con la condizionale e a 2.000 franchi di multa. Un errore involontario che assolse completamente la proprietà.
Un processo beffa per le famiglie, che faranno ricorso in Cassazione, e che nel 1964 metteranno fine alla disputa giudiziaria accordandosi per un risarcimento.

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