A Bologna la casa non è più un diritto. Ed è ora di fare qualcosa

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Sulla scia del lavoro già svolto da Possibile Milano, anche il Comitato di Possibile Bologna propone a tutti i cittadini la compilazione di un questionario per il diritto all’abitare.

Questi dati saranno poi utilizzati per creare una proposta politica strutturata al miglioramento della qualità della vita di chi abita la città, perché il diritto alla casa sia garantito a tutte le fasce della popolazione.

È utile allora riavvolgere il nastro, per provare a capire come questo male endemico abbia iniziato a contagiare Bologna, mentre la politica è stata inerme o ha tentato soluzioni peggiori dei problemi che si prefiggeva di risolvere.

Il risanamento del Centro Storico risale agli anni ‘70, quando il Comune investe nell’acquisto e ristrutturazione di molti immobili degradati, mantenendo i vecchi inquilini. Il risultato di questa operazione è un vertiginoso e per molti insostenibile aumento dei canoni.

Nei primi anni ‘90 si assiste alla diminuzione del numero di famiglie, e all’aumento di quello degli appartamenti abitati da non residenti, lavoratori e studenti fuori sede. L’ufficio Studi comunale pubblica in quel periodo uno studio che certifica il progressivo invecchiamento dei residenti, l’incremento di famiglie monoreddito, single e studenti universitari, destinati ad aumentare ancora.

L’opulenta vetrina bolognese cede il passo sempre più a povertà ed emarginazione, che si diffondono in città a causa delle politiche economiche nazionali: lavoratori d’immigrazione extraeuropea, donne sole con figli a carico, anziani (in particolare quelli che avevano subito l’esodo coatto dal centro storico degli anni ‘70/’80), ma anche vittime di tossicodipendenza, disagio mentale, povertà estrema.

L’eccessiva fiducia nei poteri del libero mercato e l’introduzione dei “patti in deroga”, a superamento dell’equo canone, dà sempre più potere ai proprietari e lascia più indifesi gli inquilini, causando un nuovo clamoroso aumento dei canoni di affitto. Non solo: la giunta di sinistra decide in quel periodo di abbandonare l’idea di suolo come bene pubblico a gestione condivisa e dà il via ai “Piani Integrati di Intervento”, con i quali il Comune passa ai privati il mercato abitativo e cede alle pressioni di lobby che si faranno pochi scrupoli nel deturpare l’ambiente bolognese. Nel corso di vent’anni 6,5 milioni di metri quadri di territorio vengono cementificati: cinquecento nuovi appartamenti l’anno, nessuno dei quali dedicato all’affitto sociale o all’edilizia popolare.

Nel 2009, in piena crisi economica, si registra un aumento del 25% degli sfratti abitativi dovuti a morosità. Il Centro Studi Nomisma segnala che il 75% delle famiglie residenti in affitto e il 50% di quelle con mutuo non riesce a sostenere l’onere casa.

Intervistato da Nadia Luppi del portale di informazione Bandiera Gialla, il Presidente del Quartiere Navile Claudio Mazzanti conferma in quell’anno la gravità dell’impatto della crisi sulla questione abitativa: redditi incompatibili con i prezzi di mercato, politiche inefficaci, mancati interventi pubblici, cronica carenza di alloggi pubblici, cessazione di investimenti statali sono le cause principali. Un dato su tutti: su 18 mila alloggi pubblici a Bologna, solo il 10% ospita famiglie straniere.

Sono passati altri dieci anni, e la situazione non è per nulla migliorata. Oggi l’Azienda Casa Emilia-Romagna possiede un solo sportello con il quale fatica a gestire le centinaia di richieste di alloggi ERP, oltre a costringere anziani e stranieri a svolgere difficoltose procedure per la compilazione delle domande necessarie. La denuncia proviene da Unione inquilini, Sgb e Cub, che in giugno hanno dato vita ad un presidio di fronte alla Città Metropolitana di Bologna, in occasione della Conferenza degli Enti con ACER. Le associazioni sindacali sottolineano il disagio dei cittadini cui è richiesta la disponibilità di un indirizzo di posta elettronica, quando non sono in possesso nemmeno di un telefono cellulare. Se da un lato si evidenza un calo drastico delle richieste, dall’altro, denuncia Cirinesi dell’Unione Inquilini, si tratta di un calo solo apparente, “dovuto alla difficoltà per Acer di gestire la mole di richieste a causa della mancanza di personale addetto agli sportelli e alle difficoltà procedurali telematiche”.

Nel 2018 nasce a Bologna Pensare Urbano, il laboratorio per il diritto alla città che si sviluppa grazie ad una chiamata pubblica, a seguito della grave emergenza abitativa che coinvolge in special modo studenti e studentesse dell’Università di Bologna. PU porta la testimonianza di associazioni, sindacati, collettivi, spazi sociali, studenti e studentesse, docenti, ricercatori e ricercatrici, secondo i quali ai già gravi disagi abitativi della città, si aggiunge da alcuni anni anche la turistificazione incontrollata. Secondo PU il diritto all’abitare è sempre più a rischio a causa della mancanza di una regolamentazione di piattaforme turistiche come Airbnb e Booking, e il diritto alla città nel suo complesso è ostacolato dallo strapotere concesso ai privati nel campo della pianificazione urbana.

Vi invitiamo ancora una volta a compilare il questionario sull’emergenza abitativa (che vi invitiamo a compilare) e a seguire il nostro lavoro nelle prossime settimane.

Se il diritto all’abitare è un diritto umano, come stabilito dall’Articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, l’emergenza abitativa resta un crimine morale, perché è criminale l’idea che a qualcuno possa non essere garantito il diritto ad avere un tetto sulla testa.

Ed è ora di fare qualcosa per invertire la tendenza.