Accabadora

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Due figure sul palco, in uno spazio scenico essenziale; una madre e una figlia, unite da un legame complesso, doloroso, fatto di sentimenti contrastanti e reso ancor più drammatico dai monologhi e dialoghi serrati.

La madre è un’Accabadora, parola sarda che affonda le sue radici nel verbo acabar, che in lingua spagnola significa finire, uccidere; questo termine indica il mestiere di Bonaria Urrai, madre adottiva della piccola Maria: una sarta che aiuta le persone in fin di vita a morire.

La figlia Maria, una volta divenuta adulta, ritrova la madre, da cui si era allontanata, sul letto di morte e si trova di fronte al proprio passato; quindi, in un rovesciamento di ruoli, vinta dalla pietà, la figlia ne indossa dolorosamente i panni, mettendo il suo scialle e la sua gonna e diventando lei stessa Accabadora.

Questo è l’intreccio della pièce teatrale tratta da un acclamato romanzo di Michela Murgia, (vincitore del Premio Campiello nel 2010), che, grazie alle due interpreti eccellenti, e a un uso originale delle video proiezioni di Lorenzo Letizia, offre al pubblico un’opera d’arte drammatica.