Ai lavoratori italiani serve un vero sindacato

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Il sindacato è indispensabile per rappresentare le istanze della classe lavoratrice di un paese. Questo era chiaro a chi ha redatto la nostra Costituzione, che ha dedicato alla funzione del sindacato l’art. 39: “L’organizzazione sindacale è libera”.
Il principio era assai lucido anche nella mente di chi, ormai cinquant’anni fa, redigeva lo Statuto dei lavoratori e che alle libertà sindacali dedicava un intero Titolo della legge. Peraltro, in quella parte si inserivano molti diritti individuali: la logica, illuminatissima, era quella per cui non possano esservi diritti collettivi, politici e sindacali, senza un’adeguata protezione individuale della persona che tuteli da azioni ritorsive da parte di chicchessia.

Tantissimo tempo è trascorso e qualcosa, qualcosa di davvero importante, è stato perso per strada: il sindacato era guidato da grandi donne e grandi uomini, gente che veniva dal basso per davvero e che sapeva benissimo cosa volesse dire fame, rivendicazione, lotta per la dignità e per la libertà.
La funzione del sindacato è essenziale perché è strettamente connessa alle fondamenta genetiche dell’Italia, che affida ai lavoratori il compito di presiedere la democrazia mediante la partecipazione: senza diritti non è possibile e senza sindacato non ci sono diritti.

Col passar del tempo, tuttavia, la guida delle maggiori organizzazioni sindacali del Paese è finita tra le mani di donne e uomini minori, che hanno tracciato una cesura incolmabile tra la classe dirigente e la base stessa del sindacato.
Da sindacalista denuncio con forza che affermare che i sindacati o i sindacalisti “siano tutti uguali” è il miglior favore che si possa fare a chi ha dimenticato di adempiere profondamente il proprio dovere: in tutte le organizzazioni sindacali d’Italia operano diligentemente sindacalisti di altissimo profilo, che dedicano alla lotta per il lavoro e per i suoi diritti l’intera esistenza.

Il pesce però puzza sempre dalla testa e difatti ascoltiamo segretari generali che ambiscono al sindacato unico (vecchio sogno di Marchionne e Confindustria), segretari generali che parlano dell’articolo 18 come di una roba del secolo scorso, segretari generali che accettano quasi passivamente il ratto dei diritti dei lavoratori italiani (qualcuno ricorda reazioni realmente consistenti da parte della CGIL, della CISL o della UIL contro la “legge Fornero” o contro il “jobs act”?).
Eppure in determinate circostanze le reazioni ci sono state eccome: il 23 marzo del 2002 i sindacati portarono al Circo Massimo oltre 3 milioni di lavoratori e fecero cambiare idea a Berlusconi che voleva fare molto meno di quanto la Camusso avrebbe poi concesso a Monti e Renzi.

E oggi Landini ci viene a dire che non possiamo fare a meno del MES: per il Segretario pare siano assolutamente indispensabili quei 30 – 40 miliardi per sistemare la sanità pubblica italiana. L’Europa, insomma, secondo il leader della CGIL, è l’unica a poterci lanciare la ciambella e a poterci riportare sani e salvi a bordo, salvandoci dal mare in tempesta.

Tralasciando il fatto che parte di quei soldi sono roba nostra che l’UE dovrebbe prestarci facendoci pagare un interesse, lasciando perdere la storia delle condizionalità (che comunque ci sono e ci saranno), mettendo da parte il fatto che la sanità pubblica italiana è ai piedi di Cristo per colpa di anni e anni di austerità liberal europeista (e che questo ci è costato decine di migliaia di morti nei mesi scorsi), forse è il caso di precisare che “30-40 miliardi sono briciole a fronte delle necessità di finanziamento dell’Italia, e comunque parliamo di una cifra che un paese come il nostro, in regime di sovranità monetaria, non avrebbe alcun problema a reperire sui mercati o direttamente dalla propria banca centrale a tasso zero”, e anzi potrebbe reperire tranquillamente anche adesso: “a una recente asta dei BTP quinquennali, il tesoro ha emesso 14 miliardi a fronte di una richiesta di più di 100 miliardi. Ci sarebbe bastato soddisfare la richiesta che c’era per avere da subito più liquidità di quella offerta dal MES” (T. Fazi, Lo spieghìno: il vero senso della battaglia sul MES, su La Fionda del 1° luglio 2020).

Non possiamo arrenderci all’idea che considerazioni di tale evidenza sfuggano a chi si lascia andare a certe esternazioni. Come pure è fondamentale evidenziare che per un sindacalista rivolgersi all’Europa per chiedere aiuto corrisponde alla supplica disperata del condannato che bagna di lacrime i piedi del boia sulla ghigliottina: è all’Unione europea che si deve il peggior attacco ai lavoratori di tutti i tempi, a quella terribile lettera che portava la firma di Jean Claude Trichet e di Mario Draghi e che venne indirizzata al nostro Governo nel 2011.

La lettera affermava come ci fosse “l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”: si volevano ridurre i diritti dei lavoratori, le loro retribuzioni, il peso della contrattazione collettiva in favore dei contratti aziendali, decisamente meno forti e tutelanti.

È incredibile che il sindacato oggi confidi nell’Europa come soggetto interlocutore per la difesa dei più deboli. A meno che, non sia il caso di guardare con sospetto alla chiusura di quella stessa lettera del 2011 che ricordava come l’accordo “del 28 giugno [2011] tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove[sse] in [quella] direzione”.                                                                                        fonte   https://www.ilparagone.it/interventi/ai-lavoratori-italiani-serve-un-vero-sindacato/