Alitalia, il gioco delle tre carte del governo

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Il tema Alitalia non è un tema nuovo. Sono diversi anni, dalla CAI e dalla cordata dei capitani coraggiosi con il mancato accordo con Air France, che l’Italia si trascina appresso questa grande questione. Una questione che non è solo un tema di mobilità e trasporti , ma è un problema di politica industriale e di sviluppo del Paese. Il solo fatto che ad oggi Alitalia sia costata miliardi ai contribuenti e non abbia svolto quel ruolo di strumento di crescita che era negli obiettivi di tutti dà la misura della complessità del problema. Detto ciò e precisato che mi iscrivo, e ci iscriviamo, al partito di coloro che ritengono che l’Italia debba avere non una compagnia di bandiera in senso stretto bensì una compagnia con base operativa e logistica nel nostro Paese, assistiamo esterrefatti a come la vicenda viene trattata.

Ad oggi, alla volontà fortemente enunciata di salvare la compagnia, preservando le rotte, le capacità tecnologiche, le realtà aziendali e l’occupazione non sono corrisposti i risultati sperati. La compagnia vola, grazie ad una positiva amministrazione straordinaria, ma bruciando risorse economiche , per altro sempre più scarse, fornite anche da un prestito ponte garantito dallo stato. Non vi è al momento nessuna compagine sociale solida disponibile a rilevarla. Non vi è nessun partner industriale che intenda assumere quote di rilievo, stante la ritrosia di Delta ad andare oltre il 10/15 % del capitale. Non vi è di conseguenza nessun piano industriale credibile per il futuro.

Vi è di sicuro il coinvolgimento di FS, forse di cassa depositi e prestiti e con il decreto legge 34/2019 dello Stato direttamente. Il possibile coinvolgimento di Atlantia, dopo le posizioni assunte dal ministro Toninelli a valle della tragedia di Genova, dà le dimensioni di come la situazione volga alla disperazione. Vi è un prestito pubblico che con il decreto legge 34/2019 darà luogo – con gli interessi maturati – all’ingresso del MEF fra gli azionisti. Sempre lo stesso prestito pubblico che ai sensi del’ art. 37 non ha più limite temporale di rimborso. Inoltre il prestito, non essendo più in prededuzione, va rimborsato nell’ambito della procedura di ripartizione dell’attivo dell’amministrazione straordinaria.

Il che implica che il rimborso può avvenire solo in parte o per nulla. Anche tralasciando quanto la scelta possa essere pericolosa per la trattativa sulla compagnia, alla luce delle regole sugli aiuti di Stato, vi è una ulteriore chicca finale. Gli articoli 37 e 50 dispongono, infatti, di utilizzare 650 milioni di euro presenti sui conti CSEA per le coperture finanziarie necessarie alle attività relative ad Alitalia.

Per chi non fosse addentro alla questione, la CSEA gestisce i flussi finanziari relativi agli oneri connessi alle bollette elettriche e del gas. Il governo, sapendo che non ci sarà nessuna operazione di mercato, nasconde così tra le righe del provvedimento i costi del salvataggio di Alitalia addebitandoli non alla fiscalità generale bensì alle bollette energetiche degli italiani. Una scelta incomprensibile, dannosa e includente che è il degno coronamento di una vicenda che unisce il danno alla beffa e non da nessuna certezza di soluzione positiva.

Siamo in presenza di un governo che, in tutte le sue componenti, non è all’altezza delle sfide di politica industriale che il Paese vive. Dal silenzio assordante sulla possibile fusione FCA-Renault, alla incredibile sbadataggine con cui si trattano le crisi industriali di cui Mercato Uno è solo l’ultimo esempio in ordine temporale. Il timore ormai molto fondato è che anche la vicenda Alitalia si avvi a diventare l’ennesimo fallimento di questo governo e tutto porti verso una soluzione pasticciata, negativa e molto costosa per i lavoratori, per la compagnia e per il Paese.                                                                                                       di gianluca beneamati  fonte www. democratica.it