ANCORA UN MORTO PER SCHIAVITÙ

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caporalato

Camara Fantamadi, appena 27 anni, originario del Mali, è morto ieri nel tardo pomeriggio

Morto di sfruttamento.
Si era trasferito nel brindisino da pochi giorni per lavorare nei campi, ospite di suo fratello.
Come i giorni precedenti, intorno a mezzogiorno aveva cominciato a lavorare (se così si può definire zappare la terra sotto il sole cocente per 6 euro l’ora). E come i giorni precedenti, ieri le temperature in Puglia hanno sfiorato i 40 gradi.
Camara ha iniziato a sentirsi male alla fine di un turno estenuante di quattro ore. Gli girava la testa e aveva chiesto a un collega di bagnargli il capo con dell’acqua.

Lo stesso collega che gli ha consigliato di tornare a casa piano, pur sapendo che questo sarebbe voluto dire per Camara dover percorrere 10 km in bicicletta, il suo unico mezzo di trasporto.
Ma a casa, dal fratello, Camara non è mai tornato: è stato colto da un malore lungo il tragitto.
Le cause del decesso sono ancora da chiarire, ma per l’autopsia sarebbero “naturali”. Come se il caldo e le condizioni estreme del lavoro in campagna non siano sembrate, anche stavolta, così fatali da essere riconosciute.
Se stava lavorando per qualche azienda o per un privato non è stato ancora appurato. Ciò che è certo è che la manodopera nei campi, dal sud all’Agro Pontino in primis, continua ad essere tenuta in condizioni di schiavitù, nonostante la legge del 2016 contro il caporalato.

Così, nella raccolta a mano, vengono tutt’oggi sfruttati soprattutto gli ultimi e i più umili, gli immigrati, e la maggior parte di loro costretta a lavorare a cottimo e in nero per una miseria.
In Italia non si può continuare a morire di lavoro: la legge c’è, com’è possibile che venga aggirata?
Se il prezzo da pagare per un po’ di frutta in tavola è la fine di un uomo, continuerò a non volerne essere un complice.

Iacopo Melio