Apriamo tutto, chiudiamo tutto, riapriamo qualcosa

0
82

Apriamo tutto, chiudiamo tutto, riapriamo qualcosa. Nelle ore in cui imprenditori e industriali assediano il governo per rilanciare le attività produttive, può tornare utile un breve ripasso delle incredibili giravolte di politici, giornalisti e “intellettuali”.

Matteo Salvini.

È il campione d’Italia.
Il 21 febbraio inaugura il suo viaggio nel virus con un allarme sul pericolo dei barconi carichi di africani contagiosi.
Il 24 febbraio twitta: “Non è il momento delle mezze misure: servono provvedimenti radicali, serve l’ascolto dei virologi e degli scienziati, servono controlli ferrei ai confini”.
Il 27 febbraio c’è la prima svolta: “Chiediamo al governo di accelerare, riaprire, aiutare, sostenere. Accelerare, riaprire, ripartire”. E ancora: “L’Italia è il paese più bello del mondo, veniteci. Fare turismo in Italia è bello, sano e sicuro. Non è pericoloso. No no no”.
L’11 marzo cambia ancora: “Fermi tutti! Per i giorni necessari, mettiamo in sicurezza la salute di 60 milioni di italiani. Chiudere, prima che sia tardi”.
Si avvicina la Pasqua, gli viene una crisi mistica: va bene i virologi, ma il buon Dio dove lo mettiamo?
Il 5 aprile lancia il cuore oltre il sagrato:
“Sostengo la richieste di chi vuole entrare in chiesa per la Messa di Pasqua. Per milioni di italiani può essere un momento di speranza”. Infine (10 aprile) aggiunge ai luoghi di culto quelli di lavoro, con un’intervista sul Sole 24 Ore di Confindustria: “La maggioranza delle aziende in Nord Europa è aperta. Laddove ci sono imprese in grado di mettere in sicurezza i lavoratori devono poter riaprire, altrimenti molte resteranno chiuse per sempre”.

Giorgia Meloni.

Anche la sorella d’Italia ha regalato momenti indimenticabili.
Il 2 marzo arringava di fronte al Colosseo: “La realtà è un’altra… ci sono turisti ovunque, ristoranti, bar e negozi sono tutti aperti, le persone sono felici e il tempo è fantastico, una normale situazione”.
Convertita come tutti al “lockdown”, ieri Meloni ha svoltato ancora (10 aprile): “Credo che le aziende in grado di garantire condizioni di sicurezza sul lavoro possano riaprire”.

Matteo Renzi.

Il Matteo minore oscilla come un pendolo.
Alfiere del “chiudiamo tutto”, il 12 marzo pregava umilmente gli Usa – tramite la Cnn – di “non commettere lo stesso errore” del governo italiano e di prendere il Covid sul serio.
Il 28 marzo, con un’inversione burlesca, anticipa il partito del “riaprire”: “Le fabbriche riprendano prima di Pasqua, le scuole il 4 maggio. IC’è già fame, si rischia la rivolta”.

La maggioranza.

Senza scomodare lo spritz di Nicola Zingaretti – passato direttamente dall’aperitivo alla quarantena – pure nei partiti di governo c’è chi la spara grossa. Un esempio per tutti, Stefano Buffagni. Versione uno, l’11 marzo: “Dire ‘chiudere tutto’ è abbastanza semplicistico. Non si può giocare sulla pelle delle persone”. Versione due, il 19 marzo: “La situazione è al limite, serve mettere in campo misure più restrittive”.

I giornali.

Per accarezzare Salvini, i poveri Sallusti, Belpietro, Feltri e compagnia hanno dovuto emularne i salti mortali.
Il più comico esempio è Libero.
Prima pagina del 23 febbraio: “Prove tecniche di strage”.
Prima pagina del 27 febbraio: “Virus, ora si esagera. Diamoci tutti una calmata”. Secondo Feltri è poco più di un’influenza.
Ma poi arriva la prima pagina del 10 marzo: “Le ultime parole famose. Quelli che dicevano: è poco più di un’influenza”. Siamo al quotidiano autobiografico.
Ora Feltri – stufo di restare a casa coi gatti – titola (10 aprile): “La gente si ribella. Vuole uscire di casa”. È lo spettacolo surreale dei quotidiani di destra. Senza dimenticare però i titoli di Repubblica su “Milano non si ferma”.

Gli altri.

L’osannato critico d’arte (e deputato assenteista) Vittorio Sgarbi si è espresso con la consueta saggezza:
“Le uniche zone che mi attraggono sono le zone rosse. Io vorrei andare a Vo’, a Codogno, Bergamo, Lodi” (9 marzo).
Dopo un po’ di giorni si è scusato (miracolo!) a modo suo: “Ho ascoltato svariati virologi che hanno stimato il pericolo del covid-19 come relativo”.
Non ha proprio tutti i torti.

Prendete la star televisiva Roberto Burioni (2 febbraio da Fabio Fazio): “In Italia il rischio è zero, il virus non circola”. Burioni in verità è stato tra i più lucidi nel comprendere la natura del Covid.
Il problema è che c’è un Burioni diverso per ogni intervista.
Il 21 gennaio: “Se mi avessero detto qualche mese fa se questa situazione era prevedibile, avrei detto di no e che poteva accadere solo in un film”.
Il 18 marzo: “La diffusione del Covid-19 era prevedibilissima. Da tempo gli scienziati avevano lanciato un allarme. La questione era non come arriverà, ma quando. Ecco, siamo arrivati al quando”.                          (di Tommaso Rodano – Il Fatto Quotidiano)