Atrofia muscolare spinale di tipo 2: il declino progressivo inizia a 5 anni

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Uno studio sui pazienti in cura al Policlinico Gemelli ha permesso di comprendere meglio lo sviluppo della malattia

Roma – L’avvento di diverse nuove opzioni terapeutiche ha recentemente cambiato il panorama dell’atrofia muscolare spinale (SMA) e le aspettative delle persone che ne sono affette. Il primo farmaco approvato per questa rara e grave malattia neuromuscolare è nusinersen, e il primo studio cardine che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di questa molecola in pazienti con SMA ad esordio tardivo è stato il trial CHERISH. Questo studio randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo, che includeva principalmente pazienti con SMA di tipo 2, ha mostrato un miglioramento significativo nell’arco di 12 mesi su diverse misure di outcome. I risultati preliminari degli studi di estensione, recentemente riportati in occasione di conferenze internazionali, suggeriscono che il miglioramento viene mantenuto nel tempo.

Dopo l’approvazione del farmaco nel 2017 e la sua disponibilità commerciale in molti Paesi, un gran numero di pazienti con SMA di tipo 2 sono stati trattati per più di un anno. Si tratta di pazienti con una gamma molto più ampia di età e di capacità funzionali rispetto a quelli arruolati nello studio cardine, che dovevano sottostare a rigorosi criteri di inclusione. Mentre l’efficacia del farmaco è evidente nei bambini che mostrano la capacità di camminare autonomamente o un costante miglioramento dei loro punteggi funzionali, l’interpretazione dei dati real-world nei pazienti che rimangono stabili o evidenziano cambiamenti minimi è più impegnativa, perché i dati a lungo termine di storia naturale della malattia sono scarsi. L’interpretazione diventa ancora più difficile nei pazienti più giovani, per la possibilità che possano mostrare qualche miglioramento fisiologico prima dei 5 anni. È quindi diventato importante recuperare tutte le informazioni disponibili sui dati di storia naturale longitudinale a lungo termine, specialmente nei bambini seguiti fin dai primi anni di vita, per seguire eventuali cambiamenti positivi e negativi nel corso del tempo.

Proprio quello che ha fatto un team di ricercatori del Policlinico Gemelli, dell’Università Cattolica e del Centro Clinico NEMO di Roma: lo studio retrospettivo, finanziato da Famiglie SMA e Telethon, è stato pubblicato recentemente sulla rivista Neurology. Il lavoro riporta per la prima volta l’esito a lungo termine di pazienti seguiti sistematicamente dalla più giovane età (quando hanno ancora una possibilità di miglioramento) fino alla fase di declino, utilizzando una scala funzionale progettata appositamente per valutare la funzione motoria nella SMA, la Hammersmith Functional Motor Scale – Expanded (HFMSE). Gli studiosi, guidati dal prof. Eugenio Mercuri, Direttore dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Gemelli, hanno esaminato i dati di una coorte che comprendeva tutti i pazienti con SMA di tipo 2 seguiti nell’ospedale romano.

Dei 73 pazienti (di età compresa fra 2,6 e 25 anni) inclusi nello studio, 28 sono stati valutati per la prima volta prima dei 5 anni e sono stati seguiti per circa 5 anni o più. Grazie a questi dati, il team ha potuto confermare che nella malattia esiste una progressione complessiva non lineare. C’è stata una tendenza generale a migliorare fino all’età di 5 anni, seguita da un forte deterioramento fino alla pubertà e da una relativa stabilizzazione in seguito. Dopo l’età di 14 anni, nessuno dei pazienti aveva punteggi HFMSE superiori a 10, il che riflette la perdita di alcune abilità, come il rotolamento. Alcune di queste difficoltà erano probabilmente legate al fatto che all’età di 14 anni tutti i pazienti avevano una scoliosi superiore a 50 gradi, con un’indicazione per la chirurgia spinale che nella maggior parte dei casi era stata eseguita prima di questa età. Questi pazienti presentavano anche contratture più gravi, specialmente ai fianchi e alle ginocchia, che riducevano fortemente la possibilità di rotolare ed eseguire molte altre attività.

Una perdita di circa 2 punti all’anno tra i 5 e 13 anni indica chiaramente che il paziente non ha più uno degli aspetti funzionali valutati dalla scala HFMSE. Il tasso di progressione era simile a quello riscontrato generalmente nei pazienti con SMA di tipo 2, con una variazione nell’inclinazione della curva a 5,1 anni e un rischio maggiore di deterioramento che si verifica tra i 5 e i 14 anni. La disponibilità di valutazioni precoci in tutti i pazienti ha permesso di suddividerli in tre sottogruppi, in base ai loro punteggi al basale, nel tentativo di identificare possibili differenze nella progressione della malattia.

“In primo luogo, abbiamo osservato che nella metà dei pazienti con meno di 5 anni (14 su 28) potevano essere riscontrati dei miglioramenti, trovati principalmente nel gruppo con punteggi più alti al basale e meno frequentemente in quelli con punteggi intermedi o in età avanzata”, spiegano gli autori dello studio. “Non sorprende che il tasso di progressione, misurato come variazione annuale, fosse apparentemente più alto nel gruppo con i punteggi HFMSE più alti al basale, e più basso nei pazienti con punteggi bassi al basale, perché questi ultimi avevano meno punti da perdere. La diversa progressione fra i tre gruppi era evidente anche quando si consideravano altre caratteristiche cliniche come l’insorgenza della scoliosi. Il sottogruppo di pazienti più deboli, con i punteggi più bassi al basale, ha avuto la più precoce progressione della scoliosi, che era via via più ritardata nei sottogruppi con punteggi più alti. Allo stesso modo, i pazienti più forti, con i punteggi più alti, avevano meno necessità di introdurre una ventilazione non invasiva (il 30%) rispetto a quelli con punteggi più bassi (il 66%)”, proseguono i ricercatori.

“I nostri risultati confermano che, nonostante la variabilità dei cambiamenti e la possibilità di un miglioramento nei primi anni di vita, tutti i pazienti con SMA di tipo 2 mostrano un chiaro e progressivo declino nel follow-up a lungo termine, indipendentemente dai punteggi al basale. Dopo i 5 anni, cambiamenti positivi e stabili sono stati osservati solo occasionalmente. Allo stesso modo, dopo i 5 anni, solo 4 pazienti sono rimasti stabili per più di 2 anni e non hanno mostrato alcun ulteriore declino poiché il punteggio indicava già una funzione motoria molto bassa”, concludono gli autori. “Abbiamo anche dimostrato che la gravità della compromissione funzionale al basale può aiutare a prevedere l’entità dei cambiamenti nel corso del tempo e, più in generale, l’insorgenza della scoliosi e la necessità della ventilazione non invasiva”.