Attenti, la Dad è una pericolosa scorciatoia

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Parlare della scuola vivendola dall’interno può avere il vantaggio di sapere di cosa si tratti, ma non è detto che si sia sufficientemente oggettivi, perché giocano un ruolo significativo la formazione, le esperienze personali, la propria visione del mondo. E queste ultime vengono fuori quando si verificano i piccoli/grandi cambiamenti che una istituzione elefantiaca come quella dell’istruzione a volte subisce senza essere preparata a fronteggiarli, suo malgrado.
Un anno fa la chiusura. E la didattica a distanza

La scorsa primavera, ad esempio, abbiamo accolto la chiusura della scuola come la soluzione da adottare in un momento emergenziale rappresentato dalla prima fase della pandemia da Covid-19 e in attesa di trovare altre strategie; la Dad è stata per noi docenti e per gli studenti una sfida, l’occasione per svecchiarci e aprirci a nuove metodologie. A giugno, abbiamo ritrovato gli studenti durante l’esame di stato, ancora distanti, gli occhi lucidi. Poi, il rientro a settembre, dopo le polemiche sui banchi a rotelle, i pullman rimasti nello stesso numero di prima, le mascherine, il distanziamento, i percorsi obbligati, le entrate e le uscite differenziate, la sanificazione… E di nuovo l’apri/chiudi in molte regioni, in cui la Dad spesso è parsa un escamotage per nascondere ciò che si poteva e doveva fare, ma non si era fatto a sufficienza.

Nel frattempo, nascevano comitati in tutta Italia, i gruppi whatsapp dei genitori in alcune giornate diventavano incandescenti, si è finiti in qualche caso al Tar. E i ragazzi? Basterebbe chiederlo agli psicologi o anche solo ai loro prof più attenti, che, benché dalla parte opposta dello schermo, sono riusciti a intravedere tra i pixel i loro sguardi a volte impauriti o, peggio, spenti.
Il dilemma etico della Dad

Il tema dell’istruzione è diventato così un vero dilemma etico. Ma chi ha sempre pensato che da settembre fosse giusto tenere aperte le scuole in sicurezza, non ha mai sottovalutato il rischio contagio, semplicemente ha fatto prevalere i bisogni di quelle categorie che la pandemia ha privato di ogni spazio di socializzazione, tra cui la scuola.

Inoltre, ha pensato a quegli alunni cui la Dad non arriva, per mille motivi: già lo svegliarsi e l’uscire da casa per rimanere qualche ora all’interno dell’edificio scolastico voleva dire staccarsi da certi contesti, allontanarsi dai richiami suadenti della strada, aprirsi a un progetto magari diverso da quello dei propri genitori, poter conoscere o riconoscere regole uguali per tutti, ritrovarsi in mezzo a coetanei per i quali acquistava tutto un altro senso, finalmente palpabile, la parola inclusione.

Fatta salva la necessità di mettere in atto misure adeguate di contenimento dell’epidemia, l’autore giuridico Ettore Bruno, in Diritto.it ha sollevato la questione della illegittimità e della dubbia conformità ai principi costituzionali del ricorso totale e indiscriminato alla didattica a distanza. Bruno cita gli articoli 2, 3 e 34 primo comma della nostra Costituzione e afferma “che le criticità determinate dall’impiego indiscriminato e frettoloso della didattica a distanza riguardano un duplice profilo: uno strumentale, consistente nelle diseguaglianze pedagogico-digitali dovute alla mancata/insufficiente disponibilità all’interno di certi nuclei familiari di strumenti tecnologici adeguati, alla possibile insoddisfacente “dimestichezza familiare” all’uso di questi, alla scarsa copertura digitale di certe zone del territorio; l’altro sostanziale, costituito dal conseguente, ingiustificato svantaggio (che si traduce in un irragionevole “rimanere indietro”) a sfavore di taluni studenti (si consideri, a tale scopo, anche la condizione degli alunni che necessitano di sostegno) rispetto ad altri”.
Aumentano le disuguaglianze digitali

Nello stesso lavoro scientifico aggiunge anche che ”l’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) ha usato toni certamente severi nel rimarcare disuguaglianze digitali esplose in tutta la loro gravità, sul rilievo che “il 12,7% degli studenti italiani non ha usufruito della didattica a distanza, dati inaccettabili in una democrazia evoluta. Nella Relazione annuale 2020 AGCOM si legge: ‘La chiusura delle scuole di ogni ordine e grado e delle università ha posto numerose sfide da affrontare giacché, con l’avvento della pandemia, le disuguaglianze digitali sono esplose in tutta la loro gravità per il numero senza precedenti di studenti coinvolti nell’educazione a distanza”.

tecnologiaLo sa bene anche Angelo Serio, formatore, coordinatore all’interno di un centro socio-educativo (Punto Luce di Save the Children) che non ha mai sospeso le sue attività, provando a colmare la mancanza della scuola in presenza, sia in termini di recupero delle carenze formative sia creando momenti importanti di condivisione e socializzazione. Serio ha sempre ritenuto che la Dad fosse l’extrema ratio cui appellarsi, solo dopo aver provato tutte le strade percorribili per evitarla.
Il danno per gli studenti

Eppure, oggi che il neo ministro Bianchi informa sull’opportunità di trasformarla da supporto emergenziale in strumento inglobato all’interno della didattica tradizionale, guarda con interesse questa prospettiva, perché utile ad arricchire l’offerta formativa: “Una didattica a distanza integrativa e complementare è ben altro dall’esperienza fatta finora: esperienza che ha generato in moltissimi ragazzi effetti che vanno dalla demotivazione alla difficoltà di concentrazione, fino ad arrivare a stati d’ansia, tremori, crisi di panico. Sono esempi di gravi situazioni che hanno richiesto interventi di psicoterapia, che non faccio a caso, ma per diretta esperienza.

L’incremento dei bisogni educativi speciali generato dalla Dad è stato col passare dei mesi esponenziale, coinvolgendo fasce di alunni/e finora non in situazione di criticità. I danni, le scorie formative, sono impensabili, e richiederanno interventi tutt’altro che blandi e ordinari.
Un cambiamento di strategia

Ci vuole un cambiamento di strategie, un cambio enorme nell’impegno e nell’impiego di risorse, finanziarie ed umane; ci vogliono competenze che esulano dall’ambito scolastico, per sfociare invece nelle tipiche competenze del personale extrascolastico: psicologi, sociologi dell’educazione, educatori che hanno nelle loro corde metodologie più variegate e che sappiano affiancarsi al personale docente per allargare, potenziare, implementare l’offerta formativa curriculare con un supporto che permei la scuola di metodologie innovative ed approcci socio-educativi differenti, straordinari”.

“Per un centro educativo che aiuta i ragazzi in difficoltà – spiega Angelo Serio – il computer può essere un mezzo idoneo a colmare le carenze, per approfondire, riascoltare le lezioni, inviare compiti. Il Miur spinge da anni a tenere le scuole aperte anche in estate, ma finora sono stati realizzati pochi progetti in tale direzione, non toccando quasi mai le superiori, e quasi esclusivamente per colmare i debiti formativi in previsione della riapertura.

E invece potrebbero servire ad andare incontro alle famiglie in difficoltà, a contrastare il calo dell’apprendimento in un periodo, quello estivo, particolarmente lungo (il cosiddetto, e scientificamente studiato, summer learning loss). Le attività outdoor, inoltre, trasformerebbero il territorio in ambiente di apprendimento, adottando metodologie non sperimentate. La speranza è che anche questa volta però non sia solo il recupero dei debiti formativi”.
Se la Dad diventa una scorciatoia, un surrogato

Intanto, le scuole come le università si avviano, a partire dall’8 marzo, alla sospensione delle attività in presenza per l’ennesima volta. Scelta che serve a scongiurare la diffusione delle varianti a partire dalle giovani generazioni, dice la maggior parte degli esperti, cui fanno seguito i decreti della politica.

Ma in chi ritiene, nonostante tutto, che la scuola sia presenza, rimangono forti i dubbi che questa decisione sia una scorciatoia, che l’istruzione ancora una volta sia pensata facilmente sacrificabile, che si preferisca quel surrogato che è la Dad all’approccio empatico della scuola tradizionale, quella in cui il bambino si senta a casa propria, pur essendo in un altro luogo, in cui l’adolescente sperimenti le prime forme di partecipazione democratica e faccia le prime esperienze del mondo reale.                                  Di Tania Paolino