Barbara Meneghel sulla mostra Domus Aurea

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Barbara Meneghel sulla mostra Domus Aurea, di prossima apertura al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato

“Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci immaginiamo.” Il titolo del testo corale pubblicato nel 1978 da un gruppo di artiste femministe, che si incontravano settimanalmente per discutere di tematiche socioculturali, mi risuona spesso nella mente in questo periodo surreale. Non ci possiamo vedere fisicamente, ci possiamo al limite immaginare.

In realtà, alla nostalgia vengono ormai in aiuto le videochiamate; ma c’è qualcosa che davvero possiamo soltanto affidare all’immaginazione: sono tutti i progetti espositivi in programma in questo periodo che sono giocoforza rimasti in sospeso, sfumati nel dolore di un assurdo limbo collettivo.

Ho provato a immaginarmi alcune mostre che sarei stata felice di vedere in questi mesi, e che non hanno (ancora) la possibilità di aprire: tra queste, sicuramente ‘Domus Aurea’ al Centro Pecci di Prato, frutto del lavoro di Francesco Vezzoli e Martino Gamper (sotto la direzione di Cristiana Perrella) sulle ceramiche realizzate da Gio Ponti nel decennio 1923-33 per l’azienda Richard-Ginori.

La particolarità di questo progetto, così come di altri recenti di cui è stato protagonista Vezzoli, risiede nell’unicità dell’incontro tra voci diverse, un’esperienza fruibile al pubblico soltanto nel luogo e nel periodo di apertura della mostra, non ripetibile altrimenti. Non si tratta ‘semplicemente’ di godere di una selezione di ceramiche di Ponti messe a disposizione dall’Archivio, o di esempi dell’ultima produzione dei due artisti italiani più giovani: presi singolarmente, questi lavori potrebbero comparire in numerosi altri contesti espositivi, passati o futuri. Quello che potremo (presto, si spera) vedere di persona sono invece opere totalmente nuove, composte dalle realizzazioni di tre interpreti diversi della scena culturale recente e contemporanea. Si tratterà di una serie di circa dieci installazioni in cui un grande mobile di Martino Gamper (già celebre per i suoi interventi reinterpretativi sui mobili del fondatore di Domus) fungerà da supporto per un dialogo tra una ceramica di Ponti e una scultura di Vezzoli.

In questo senso, le singole opere e l’intera mostra assumono un valore performativo: l’importanza dell’hic et nunc, dell’assistere ‘in presenza’ a un evento, rendono ancora più evidente la privazione dell’esperienza diretta di cui siamo vittime in questi mesi a causa dell’emergenza sanitaria in atto. Del resto, con il senno di poi, il titolo stesso della mostra ci ricorda qualcosa di curiosamente attuale: il rimando è al classicismo, spesso presente nella produzione di Francesco Vezzoli, così come all’utilizzo dell’oro, materiale cui il Gio Ponti direttore artistico di Richard-Ginori era particolarmente affezionato. Ma, inevitabilmente, il richiamo alla domus romana fa pensare anche a un paesaggio domestico, cui ci stiamo tutti forzatamente abituando come unico orizzonte possibile.