Bersani: sinistra, adesso umiltà. Guai a crogiolarsi dopo le regionali

0
75
bersani
bersani

Ha messo in ordine le idee su un foglietto. Appunti dal passaggio di sesto grado in cui c’era in gioco “la mia mamma”, la Regione Emilia-Romagna di cui per sedici anni (’80-’96) è stato pluriassessore e poi presidente. Il foglietto è lì sul tavolino del salotto e Pier Luigi Bersani – una vita a sinistra nei suoi vari stadi, tante volte ministro e leader di partito (Pd, prima di andarsene Renzi regnante) senza mai perdere contatto e confidenza con il popolo – lo usa come una specie di bussola per essere esatto in un giorno speciale. Il giorno in cui l’Emilia si salvò dal naufragio.

Onorevole Bersani, ma lei ha avuto paura davvero di perdere la Regione simbolo della sinistra?

Tre secondi di silenzio. Non dice sì ma è come se. “Oh, all’inizio della campagna eravamo al pelo. Ho parlato di ‘apocalisse’ in caso di sconfitta. Lo facevo anche per stimolare una reazione. Al di là di tutto, comunque, la montagna la dovevamo scalare noi, lui Salvini era davanti o almeno lo sembrava”.

E quando ha capito che Bonaccini poteva farcela?

“Ormai càpita sempre così: negli ultimi due giorni, girando e incrociando sguardi e frasi, acchiappi i veri movimenti di fondo. Ho messo insieme qualche sorriso al supermercato e sul Corso, un messaggio sul telefonino di una persona che sta nel centrodestra ma vedendo Salvini al citofono mi ha scritto, in dialetto, ‘Adess l’è tropp, chemò spo mia pò’ – adesso è troppo, qui non se ne può più. Lì ho capito che il vento stava girando”.

C’è una parola che da sola fotografa il risultato?

“Il mondo dei valori, semplicemente quello. Ma prima di arrivare lì vorrei dire due cose”.

Quali?

“Premessa: festeggiamo pure, ma poi mettiamoci subito umiltà. Negli ultimi anni, all’incrocio tra ondata di destra di portata mondiale e cura renziana, noi centrosinistra eravamo finiti sotto. Questo risultato finalmente positivo ha due strati. Il primo è il valore del buon governo, che ha convinto tanta gente consapevole. Parlo soprattutto di chi nei servizi nella sanità e nelle imprese ha rapporti con la Regione e pur orientato a destra o al centro ha capito cosa era in gioco. L’altro strato è l’onda dei valori”.

Che tipo di valori?

“Quelli democratico-costituzionali e quelli atavici di socialità. Tanta gente li ha sentiti toccati e ha rifiutato sdegnosamente l’irruzione di Salvini, sentendo note indigeribili nella sua proposta. Il che dimostra che Salvini ha fatto il turista incantato ma non ha capito questa regione. Sì, la piadina, la Ferrari… Non si è reso conto di cosa andava a smuovere”.

A proposito di “note indigeribili”. Non pochi hanno evocato tratti da neofascista in alcune performance del capo della Lega. È esagerato? È giustificato?

“A me piaceva chi diceva: chiamala come vuoi, ma è fascismo. Non lo è tecnicamente, storicamente. Ovvio. Ma è una picconata su dei valori basici, costituzionali e di convivenza”.

Esempio?

“I bambini. Andare a fare polemica proprio nei posti dove nel dopoguerra ne furono accolti 70 mila, poveri, di famiglie del Sud… Ma come si fa? Sono i posti dove sono stati inventati gli asili nido, è detto tutto”.

E quindi, un po’ per merito del buon governo e un po’ per l’autogol di Salvini, Bonaccini ce l’ha fatta. E ora?

“Ora – Bersani quasi sillaba le parole – la sinistra nazionale non pensasse mai di crogiolarsi in questo risultato. Per l’amor di dio…”.

A cosa allude? Alla forza della destra ammaccata in Emilia ma tutt’altro che in calando un po’ ovunque?

“Naturale. Se la sinistra non vuole guardare la Calabria, guardi qui a Piacenza oppure a Ferrara. Questo risultato è solo l’occasione per alzarsi in piedi e mettere in moto un processo. Quei valori vincenti ci sono dappertutto in Italia, qui in Emilia poi abbiamo un presidio. Ma hanno bisogno di un aggancio programmatico e politico, hanno bisogno di gambe per camminare. Oggi questo strumento non c’è”.

E quindi, in pratica, cosa dovrebbe accadere per non buttar via la chance che l’Emilia offre ai progressisti?

“Occorre una grande chiamata a tutte le sensibilità del nostro campo. Un appuntamento programmatico che porti a una sinistra dei tempi nuovi”.

A chi tocca la mossa?

“È ovvio che il fratello maggiore è il Pd. Ma tutte le forze organizzate devono mettersi a disposizione. E nessuno deve dire ‘venite’. Devono dire ‘facciamo una cosa insieme’, ‘andiamo’. I terreni programmatici sono lì, naturali. Le tre grandi transizioni: ecologica, tecnologica, demografica. Poi chi ci avrà lavorato deciderà l’esito politico, un partitone, una federazione… vedremo”.

Restiamo però qui dalle nostre parti onorevole. C’è un vasto pezzo di popolo che, come lei ha accennato, è voltato dall’altra parte.

“Lo vedo, altroché. Piacenza, Ferrara, pezzi di Appennino e di costiera. C’è un rischio: che in questi territori dove prevale la destra si crei una sindrome di autoesclusione, della serie noi-con-questa-Regione-non-c’entriamo. Non va bene. Suggerisco alla sinistra di qui, di Piacenza e di Ferrara per esempio: riconoscersi minoranza e essere amichevoli verso quel gran pezzo di popolo che non sei riuscito a convincere. Secondo: con santa pazienza ritessere dal basso le trame del consenso. Pensare che ci siano scorciatoie è un errore. Serve scarpinare, con le forze che ci sono”.

Un’impresa. Qui a Piacenza la destra per esempio è oltre il 60%.

“Ah, ma ce n’è da fare anche per la sinistra nazionale. Bisogna farle capire che la dicotomia città-contado è una questione centrale. La campagna si sente emarginata, avverte che le strade dello sviluppo si concentrano nelle città. Vedo in montagna, in tutt’Italia non soltanto qui, un sentimento da sconfitti. Va ripreso in mano il tema delle Province, che sono state smontate e basta”.

Torniamo a Salvini, che vi ha fatto tremare. È stato battuto in una partita, sia pur importante, o si può pensare che sia il primo atto di un declino?

“Beh, è il primo alt grosso che gli arriva. Paga anche la sindrome dell’uomo solo. Sono un predicatore di questo rischio mortale. Di me dicevo anche da segretario che ero solo ‘moderatamente bersaniano’. Ma comunque, mettiamoci bene in testa che, nonostante l’ammaccatura in Emilia, la destra c’è ancora eccome. Mentre la sinistra non c’è ancora come alternativa vera, nazionale. Può esserlo dandosi una mossa”.

Nella “mossa” c’è la chiamata di cui lei ha parlato prima. Tra gli alleati ci sono ancora i 5 Stelle, numericamente ridotti in polvere? Lei nel 2013 fece una scommessa, andata a vuoto, sul carattere duraturo del Movimento.

“I 5 Stelle esistono ancora, indeboliti. Sono il 15 per cento nei sondaggi, ma al di là di questo in Parlamento sono un esercito. Devono darsi un modo di discutere e capire che se non si prende mai nessuna strada si va a finire in un vicolo cieco. L’idea che non c’è né destra né sinistra è destituita di qualsiasi fondamento. Sei ambiente-scettico o la prendi sul serio? L’immigrazione è solo disturbo o va trovato un modo per renderla socialmente accettata? Sono nodi che non ammettono diserzioni”.

Immigrazione, appunto. Il 90 per cento del consenso di Salvini viene da lì, dall’inquietudine per il carattere disordinato del fenomeno o per il timore, da parte dei penultimi, di avere nuovi “concorrenti” nella scala sociale. È un nervo scoperto della sinistra. Come contrapporre a quella della Lega una narrazione alternativa? E quali proposte?

“Non c’è discussione sul fatto che l’immigrazione è disordinata: è vero. E Bersani non è buonista. Dobbiamo come sinistra avere il coraggio di dire in modo chiaro la nostra ricetta. Sugli sbarchi, poi, bisognerà pur dire che in Spagna e Grecia negli ultimi anni ne hanno avuti molti di più. Il problema non è questo. Invece, dati del ministero degli Interni, abbiamo 660 mila irregolari, anche a causa della cura-Salvini che ha smontato alcuni meccanismi di integrazione e di controllo. Non si può accettare che un paese abbia 660 mila ‘fantasmi’. Non sarà ora di separare l’acqua buona da quella problematica? Regolarizzarli uno a uno, quelli che raccolgono la frutta eccetera? Altra cosa, lo ius culturae. La cittadinanza a chi ha studiato ed è cresciuto qui va data. E gli italiani, se glielo spieghi, sono d’accordo. Sennò tireremo su della gente cattiva. Non ci conviene. La differenza è che noi vogliamo risolverli i problemi, lui vuol camparci”.

Ma non c’è anche il timore di dire ad alta voce alcune cose “ruvide” che potrebbero suonare affini alle “cattiverie” di Salvini, e quindi la sinistra le omette per quieto vivere interno?

“Capisco. Il difetto vero nostro è la perdita di allenamento a discutere nei bar. Se hai fiducia che alla fine il popolo ragiona, non devi aver paura di accettare il confronto. Abbiamo dei problemi da mettere in fila, senza remore. Per esempio sulle case popolari: ne abbiamo troppo poche, e così diventano terra di propaganda e di tensioni. Poi ci sono i pronto soccorso…”.

E i controllori sui treni, gli autisti sugli autobus.

“Ovunque dove può scattare la guerra tra poveri dobbiamo mettere il massimo di attenzione. Cerchiamo di regolarizzare il regolarizzabile. C’è anche la mafia nigeriana, lo so benissimo. Ora Salvini butta tutto nel mucchio, i bambini e la criminalità. Io voglio distinguere. Nel flusso dell’immigrazione c’è anche del fango: setaccialo! La Lega cosa fa? Dice ‘basta immigrati’. E si ferma lì”.

Bonaccini l’ha fermato. Chi è questo governatore al secondo mandato? Un po’ anche figlio politico di Bersani?

“L’ho incoraggiato io all’inizio, sì, è stato segretario regionale quando io ero segretario nazionale del Pd”.

È un politico “vecchia scuola Emilia”?

“Basicamente sì, poi c’ha messo un po’ di nuovismo”.

Quanto hanno aiutato le Sardine?

“Hanno aiutato nel risvegliare i valori di base: antifascismo, umanità sui temi dell’ordine, socialità. Non c’entrano neanche i partiti, c’entra la storia di come si è venuti fuori dalla miseria, che ha sedimentato un patrimonio ineliminabile”.

Onorevole Bersani, c’è ancora qualcuno che la risolve così, con occhiali fuori dal tempo: in Emilia sono rimasti i soliti comunisti. Le viene di rispondere o di lasciar perdere?

Cinque secondi di incertezza. “No, sinceramente non risponderei. Però mi viene in mente Gnassi…”.

Gnassi chi?

Il sindaco di Rimini. L’ho conosciuto nei miei anni in Regione, più giovane di me, ne avevo visto le doti. Ci rivediamo e mi chiede se mi ricordo di una certa cosa che gli avevo detto una volta e gli era rimasta impressa. Gli rispondo che no, non me la ricordo. La frase era questa: ‘Rimanendo noi, cambiamo tutti i giorni’”.