Bonetti: “le famiglie sono il primo luogo dell’incontro con l’altro”

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La matematica Elena Bonetti è stata prestata alla politica per il tramite di Matteo Renzi. Fu lui a chiamarla nel 2017 nella Segreteria del Partito Democratico ed è stato sempre l’ex Premier ad indicarla come Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia nel Governo Conte Due. In entrambi i casi, Bonetti è stata sorpresa da nomine che le sono sembrate «proposte sproporzionate» ma alla fine ha sempre prevalso «la voglia di provare». D’altronde il motto scout dice “Sii preparato” e la Ministra che, come Renzi, fa parte da sempre dell’Agesci, lo ha onorato facendosi trovare pronta all’alta carica. Chi la conosce sa che dietro il suo corpo minuto ci sono volontà e determinazione, una buona oratoria e una certa dose di audacia.

Appena nominata, Bonetti ha dichiarato di mettere nel cassetto il Ddl Pillon (che voleva imporre l’affidamento paritario mettendo a rischio l’integrità psicofisica di madri e bambini)​ e di​ essere favorevole allo Ius Culturae (la cittadinanza per i bambini figli di immigrati che chiudono un ciclo scolastico), marcando la differenza con il predecessore Lorenzo Fontana della Lega. Sposata con Davide dal 2003, mamma di Tommaso e Chiara, vive a Mantova ed è Professore Associato di analisi matematica all’Università degli Studi di Milano. E proprio da qui parte la nostra intervista.

Lei insegna matematica e, a proposito di gap tra uomini e donne, le discipline Stem (cioè scientifico-tecnologiche-matematiche) sono ancora oggi considerate più un affare di maschi.
«La matematica e le scienze chiedono di mettersi in gioco, superare una grande fatica, buttare il cuore oltre l’ostacolo, per raggiungere un’intuizione più grande. Le donne sanno farlo come e più degli uomini. E in più hanno una spiccata capacità di connessione e il mondo scientifico va affrontato in una visione processuale. Ecco perché dico che le ragazze sono in minor numero ma possono essere le più brave. E tutto questo va raccontato nelle scuole, incoraggiando le studentesse a pensarsi matematiche, fisiche, scienziate».

Dall’Università al mondo del lavoro. Il gap tra l’istruzione e la carriera professionale delle donne è ancora oggi, nel 2019, da imputare al welfare insufficiente e all’asimmetria nel lavoro di cura. Da ministra per le Pari opportunità, quali misure intende mettere in atto per colmare il divario? Quali, in concreto, saranno approvate con la manovra dal 1 gennaio 2020?
«La prima è il congedo obbligatorio per i padri, interamente retribuito, che passa da 5 a 7 giorni, e che speriamo di portare nel 2021 almeno a 10 giorni. Averlo rifinanziato ed esteso significa marcare la necessità di una responsabilità paritaria tra uomo e donna, entrambi sono fondamentali nel processo educativo. Ci sarà il bonus per il pagamento della retta degli asili nido e l’assegno universale mensile per tutti i nuovi nati, da 80 a 160 euro secondo la ricchezza della famiglia. Erogato per 12 mesi già nel 2020, sarà destinato anche ai figli di lavoratori autonomi e con partita Iva. L’intenzione è maggiorarlo e renderlo strutturale nel 2021. Viene anche confermato il “bonus mamma” di 800 euro alla nascita. Saranno costruiti nuovi asili nidi e spazi polivalenti di servizi e socialità. Queste sono le prime misure del Family Act, un nostro progetto di investimento che vuole famiglie più protagoniste, più eque, più ricche: vi sono stati destinati per il 2020 più di 600 milioni aggiuntivi, che diventano un miliardo l’anno venturo».

In specifico, come vuole intervenire sul lavoro delle donne per ridurre il gap di cui sopra?
«Servono i crediti di imposta per le aziende che investono sulle donne, le formano e le assumono. In molte dopo la maternità non rientrano nel mondo del lavoro ma investono in autoimprenditorialità: vanno sostenute con incentivi economici. È importante attivare corsi di formazione di soft skills per aiutare l’inserimento lavorativo di donne che hanno livelli di istruzione medio bassi».

Lei è femminista?
«Credo nella necessità che le donne siano protagoniste in tutti i luoghi in parità con gli uomini. Non credo nelle quote rosa, anche se sono state necessarie. Serve un passo in più, una visione in cui le diversità del maschile e del femminile sono complementari. È l’esperienza che vivo anche nel mio partito, Italia Viva, dove le donne e gli uomini hanno pari responsabilità».

Lei ha due figli, un maschio e una femmina, come li ha educati alla parità?
«Li abbiamo educati insieme, io e mio marito, con l’esempio quotidiano. Sono molto presente in casa ma loro hanno sempre saputo che mamma lavora, dimostra teoremi e parte per andare a convegni, quindi non c’è sempre. Quando io non sono presente anche mio marito deve farsi carico della cura dei figli e della casa. Se non ci fosse questa alleanza tra me e lui, adesso non potrei stare qui a fare questa intervista né avrei mai potuto accettare di diventare ministra».

Vuole un’Italia fondata sulle famiglie?
«Sì, sono il primo luogo dell’incontro con l’altro e la comunità sociale e politica più diffusa. Viviamo una deriva individualistica che va corretta emotivamente e culturalmente. C’è un valore culturale che ispira la mia azione: la maternità è una scelta personale ma porta valore a tutti, un bambino è un bene comune e quindi la collettività deve farsi carico della sua cura e del suo accudimento. Questo vuole dire anche considerare l’assenza dal lavoro per la maternità come un tempo in cui si accumula un’esperienza che è preziosa per le donne e per la collettività. Posso testimoniare che prendermi cura dei miei figli ha messo a sistema la mia vita, ho imparato a dare ordine, tempo e priorità agli impegni, quando sono tornata in Università ero più capace di mettere insieme i pezzi e avevo una visione d’insieme: la maternità è coraggio dell’innovazione».