Call center come «fabbriche dei primi del Novecento»

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In due call center di Cagliari, 128 persone erano costrette a lavorare in condizioni “come quelle delle fabbriche di inizio del secolo scorso”. Sono stati scoperti dall’ispettorato del lavoro che ha comminato sanzioni per circa 110 mila euro con un recupero di contributi evasi per quasi mezzo milione. Ne dà notizia l’Ansa.

I titolari delle due strutture operavano per conto di una società fornitrice di energia elettrica, e ora sono accusati di utilizzo illegittimo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. In realtà – secondo quanto riferito dagli ispettori – si “mascheravano veri e propri rapporti di lavoro subordinato, gestiti secondo condizioni e modalità talmente irrispettose dei diritti minimi dei lavoratori da renderli paragonabili a quelli in essere in Europa ai primi del Novecento”.

Gli ispettori hanno accertato “l’esercizio di uno stringente potere direttivo nei confronti dei dipendenti, che si manifestava attraverso minuziose indicazioni sulla gestione della telefonata e l’imposizione di specifiche frasi da utilizzare con il cliente, con conseguenti rimproveri verbali nei confronti degli operatori che si discostavano”.

Veniva inoltre imposto – sempre secondo quanto è emerso dai controlli – un orario di lavoro rigido e immodificabile. L’esercizio del potere disciplinare, inoltre, “poteva giungere fino all’allontanamento dei lavoratori, senza alcuna tutela, e con la richiesta di firmare lettere di dimissioni in bianco all’atto dell’assunzione”.

Il calcolo delle retribuzioni era sulla base di compensi orari pari ad euro 3,78 per ogni ora di lavoro, con addebito in detrazione delle ore di assenza o di mancato lavoro. Alla scadenza dei contratti, poi, molti lavoratori non erano stati retribuiti integralmente così come i bonus previsti di fatto, non venivano mai corrisposti. È stato anche accertato che, per quasi un anno, le due società non avevano nemmeno provveduto a trasmettere all’Inps le denunce contributive mensili.

Una delle persone apparentemente assunta come dipendente, di fatto operava con i poteri organizzativi, gestionali e disciplinari tipici del titolare di una attività di impresa. Le testimonianze dei lavoratori hanno fatto emergere come questa “socia occulta” decidesse, “in completa autonomia e senza alcun superiore gerarchico”, le assunzioni e le cessazioni dei dipendenti, i turni e gli orari di lavoro, le modalità di pagamento delle retribuzioni, effettuasse i colloqui di lavoro con gli aspiranti collaboratori “ed esercitasse un potere disciplinare che si è spinto fino al licenziamento in tronco di alcuni lavoratori, sulla base di decisioni personali, pretestuose e immotivate”. L’ispettorato sta quindi valutando anche l’ipotesi di una denuncia alla Procura della Repubblica per il reato di caporalato.