Carlo Vanoni – A piedi nudi nell’arte – Milano, Solferino, 2019, 250 p. (205)

0
59

Con un racconto interessante e “colorato”, lo storico dell’arte Carlo Vanoni nel suo “A piedi nudi nell’arte” ci accompagna, passo dopo passo, in un cammino progressivo per far comprendere e sfatare alcuni luoghi comuni: “quel quadro saprei farlo anch’io“, “un orinale capovolto non è arte“, “i monocromi/velature di Rothko non hanno significato“, “la Venere degli stracci che significa?“.

 

Con lui, scopriamo così come e perché 700 anni d’arte (da Giotto agli Impressionisti) siano oggi compresi ed assimilati da molti, e perché invece gli ultimi 100 anni di creatività artistica – più o meno da Malevic ad oggi (Mondrian è un esempio di passaggio tra i due mondi) – siano per lo più poco graditi se non completamente incompresi. In 250 pagine scopriamo/riscopriamo tanti capolavori antichi e moderni – da Giotto a Pistoletto – della Storia dell’Arte, grandi opere viste attraverso il suo occhio acuto ed indagatore, attento alle sfumature, ai simbolismi, ai collegamenti temporali, alle emozionalità personali ed oggettive…

Da sempre uomo, ambiente ed arte sono – a ben vedere – un tutt’uno inscindibile; Vanoni si immerge in una città metropolitana (Milano), la sua nuova residenza, ed inizia a riflettere prendendo spunto da tutto ciò che osserva o che tocca i suoi sensi.

Con la sua grande esperienza legge questa realtà, riproponendola poi a sé stesso, alle sue emozionalità riscoprendo cose nuove, per una nuova educazione artistico sentimentale. Ne sono stimolanti testimoni/spettatori ora una mostra d’arte, ora un aperitivo con una ragazza molto giovane, talaltra un improvviso blackout o un tramonto… Soprattutto nel rapporto/dialogo con la ragazza egli ha modo di spiegare alcuni dei luoghi comuni di cui sopra, ma anche di approfondire a se stesso la comprensione di quei capolavori, segnatamente là dove più importanti sono le motivazioni/origini delle loro creazioni. Una serie di aneddoti, quindi, che fanno da ricco contorno ad un disquisire colto – tra provocazioni ed intuizioni –, ad un “racconto” che non è solo colorato d’arte ma anche di vita quotidiana, sentimenti forti pur se talvolta contrastanti, anche d’amore.

Pur qualvolta con una leggera vena satirica le sue spiegazioni giungono a noi chiarissime, facendoci crescere nella conoscenza e nella comprensione di tante opere apparentemente senza alcun significato o poco leggibili, ma con ogni cosa collegabile al proprio tempo oltre che alla sensibilità dell’autore.

Masaccio, Leonardo e Raffaello sono “figli di Tolomeo”, della teoria di un sistema egocentrico che poneva la terra al centro dell’universo, cosa che si trasmette nella loro pittura e nel loro modo di sentire e vivere lo spazio (Sposalizio della Vergine di Raffaello, Cenacolo di Leonardo da Vinci…). I pittori del Seicento sono figli di Copernico e di Galileo, quindi del sistema eliocentrico che vede il sole al centro dell’universo; lo spazio nelle loro creazioni diventa perciò aperto, senza limiti geometrici (Andrea Pozzo, chiesa di sant’Ignazio a Roma).

Lucio Fontana è invece un figlio del secondo Novecento, epoca in cui l’uomo vola nello spazio, esplora con l’astronave, con gli aeroplani le distanze si avvicinano, c’è il cinema, la televisione… Nel 1949 Fontana buca la sua prima tela, metaforicamente lo spazio, come, in modo diverso, nei secoli passati, Giotto, Masaccio e Pozzo avevano fatto con le loro opere. Il taglio è un invito ad oltrepassare la finestra temporale, attendere il mistero del nuovo.

Questo libro è quindi un utile strumento per leggere l’arte moderna. Per chi vuole approfondire e conseguentemente capire.

Franco Cortese Notizie in un click