C’erano una volta i cittadini di serie A e quelli di serie B. Ci sono ancora

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Quelli di serie A sono quelli che… se chiedi la cittadinanza italiana e non spiccichi una parola della nostra lingua, non coniughi i verbi e parli all’infinito ma sei uno che guadagna 10 milioni a stagione, gli esami all’università degli stranieri «non glieli puoi far saltare perché non ha il B1». Se poi ti chiami Luis Suarez e arrivi con l’aereo privato per sostenere il test che una società calcistica italiana ha richiesto per il passaggio dal Barcellona ai colori nostrani, allora non si discute. Una manciata di minuti di prova e via. Promosso.

Poi ci sono i cittadini di serie B. Sono quelli che sono nati, vivono, studiano e lavorano in Italia. Non sono calciatori, non arrivano in un aereo privato e guadagnano quanto basta per l’affitto, la scuola, pagano le tasse in Italia, tante donne e uomini, ragazze e ragazzi italianissima che… no, per questi prova selettiva di due ore e mezza. Sotto torchio. Perché o si è allievi dell’Accademia della Crusca oppure ti puoi scordare la cittadinanza. Loro no, loro che più di tutti potrebbero indossare con onore la maglia azzurra. E se la meriterebbero tutta.

Questa storia dei cittadini di serie A e B l’avevamo incontrata già qualche mese fa. Ricordate? Tamponi velocissimi ai calciatori, mentre i semplici cittadini, molto spesso con sintomi da Covid, in fila, ad attendere i templi biblici della sanità.

Non è giusto.

I diritti sono universali e quando un diritto viene negato e un torto ammesso a seconda del girone in cui ti trovi, io non ho dubbi, sto dalla parte di quelli di serie B. In curva, a tifare per loro e battermi affinché tutti siano messi nelle stesse condizioni.

È la Costituzione, bellezza!

Davide Faraone