Che fine ha fatto la cassa integrazione?

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“Domande a partire dal 30 marzo, pagamenti dal 15 aprile” aveva assicurato il Presidente del consiglio. Fin dall’inizio della Fase 1 dell’emergenza Covid, Giuseppe Conte aveva dettato tempi precisi sull’erogazione della cassa integrazione appena prorogata da Palazzo Chigi. Ma l’assegno che avrebbe dovuto sostenere i bilanci di una buona fetta di famiglie durante il lockdown per molti è rimasto una chimera. A un mese esatto dalla data indicata dall’esecutivo, i bonifici non arrivano, è stato necessario emanare un nuovo decreto e chi è rimasto con il frigo e il portafogli vuoto non ha potuto che rivolgersi alle associazioni di volontariato per un pacco spesa.

L’iter. Secondo gli analisti, le difficoltà erano evidenti fin dall’inizio. Per gli ammortizzatori in deroga il procedimento era a dir poco farraginoso. I datori di lavoro dovevano comunicare alle Regioni i dati di ogni singolo addetto posto in cassa, per quanto tempo e allegando in alcuni casi il verbale di accordo con i sindacati. La domanda, una volta esaminata, veniva trasmessa all’Inps che emetteva il decreto per il pagamento per rimandarlo alle aziende, tenute a compilare il modello SR41 con i dati del dipendente, le ore di cassa effettivamente godute e l’Iban sul quale versare l’importo. Un lungo rimbalzo di dati che, nella mole dovuta all’emergenza, ha richiesto troppo tempo senza che le banche facilitassero l’anticipo delle somme. Da oggi, grazie alle modifiche del Decreto rilancio, si salterà un passaggio. La Cassa integrazione in deroga sarà autorizzata dall’Inps e non più dalle regioni. Il 40% dell’assegno verrà anticipato entro 15 giorni. Il resto a saldo dopo aver ricevuto i dati completi dalle aziende. Ma varrà solo per le nuove attivazioni.

Ritardi ed errori. Nella lista di lentezze e imprecisioni registrate ce n’è per tutti i gusti, a partire dalle Regioni. Secondo i dati pubblicati dall’Inps, alla voce Cassa integrazione in deroga del 10 aprile, Abruzzo, Calabria, Liguria, Lombardia, Marche e Valle d’Aosta non avevano ancora presentato alcuna domanda. Più grave la posizione di Sicilia e Sardegna che per depositare le richieste­­­­ hanno atteso l’ultima decade del mese, condannando le famiglie – in assenza di soldi e lavoro – a difficoltà e privazioni. Il consueto scarica barile istituzionale ha raggiunto livelli curiosi quando il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha denunciato un alto numero di codici Iban errati forniti dalle ditte in fase di compilazione dei modelli SR41. Per questo pare sia stata trovata una soluzione: l’Inps domicilierà l’assegno presso le poste, avvisando i lavoratori con un sms.

I dati. Gli attuali beneficiari di Cassa integrazione ordinaria e Assegno ordinario sono 8.472.311 e per due terzi, grazie agli accordi sindacali, godono dell’anticipo da parte delle aziende. Per quanto riguarda la Cassa integrazione in deroga, l’Inps avrebbe evaso il 60 percento delle 305 mila domande pervenute in seguito all’emergenza Covid, per una platea di 121 mila lavoratori. Ma per i sindacati i conti non tornano: secondo Cgil, Cisl e Uil, le domande giunte alle regioni sarebbero almeno 500 mila, per una platea di 1,3 milioni di lavoratori. Il mistero si infittisce sommando i dati regione per regione visto che l’Inps indica nei propri resoconti il numero di domande ricevute ma non quello dei lavoratori coinvolti.

La testimonianza: il caso Piemonte. “Da noi si sono perse 2 settimane – racconta Elena Petrosino, segretaria confederale della Camera del lavoro di Torino – . Le Regioni non erano pronte a gestire la mole di domande presentate. Per essere operativi è stato necessario attendere l’apertura del portale e che venisse formata una squadra di persone, partita con 4 elementi e giunta a 50. Solo nel Lazio però sono in 120 a occuparsi di processare le richieste. Sulla cassa ordinaria, prevista per i settori industriali, manifatturieri e dell’edilizia – spiega la segretaria – i lavoratori hanno ottenuto le integrazioni salariali in tempi consoni e nella maggior parte dei casi anticipate dall’azienda. Per il Fis, il Fondo di integrazione salariale, l’Inps sta recuperando un ritardo dovuto alla mancanza di una parte della procedura informatica. Resta l’insopportabile ritardo della cassa in deroga che pesa su una fascia del mondo del lavoro con meno tutele. Per le grandi catene del commercio non è previsto che l’azienda anticipi le integrazioni, quindi i lavoratori di multinazionali come Ikea, Zara, H&M e altre, sono ancora in attesa dell’assegno”. Ancora più giù c’è chi non ha avuto diritto nemmeno a quello. Tra cui colf e badanti o i lavoratori del sommerso: uomini e donne per cui il tempo si è fermato mentre il mondo ha continuato a girare distratto.

Davide Colella