Che fine hanno fatto le Sardine?

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Le Sardine rappresentano una della novità più importanti degli ultimi mesi che fino a poco fa erano molto presenti nella sfera pubblica mediata. A torto o a ragione a loro sono state dedicate pagine intere dei quotidiani e di settimanali, ore di dirette televisivi e radiofoniche, di loro si parlavano il social network.

Si tratta di un fenomeno nuovo e vecchio al tempo stesso quello della partecipazione popolare attraverso la piazza e che ha conquistato spazi rilevanti anche nella discussione dei leader politici.

Per studiare questo fenomeno, di cui non si conosce ancora il futuro, quattro docenti universitari della LUISS hanno scritto un saggio “Fenomenologia di un movimento di piazza” (LUISS University Press, 2020) dove il nuovo movimento viene analizzato in tutti gli aspetti più rilevanti: dalle ragioni della partecipazione popolare al modello organizzativo, dalla leadership all’avvio di una proposta programmatica.

In che acqua nuotano le Sardine? Che volto avrà questo fenomeno sociale nei prossimi mesi? E perché non si sono ancora espressi sul tema che preoccupa tutta l’Italia in questo momento, quello dell’emergenza coronavirus? Per parlarne Sputnik-Italia ha raggiunto uno degli autori del volume sopraindicato, Professore di Storia Contemporanea e Direttore della Luiss School of Government Giovanni Orsina.

— Prof. Orsina, cos’è, a Suo avviso, il Movimento delle “Sardine”?

— Innanzitutto, è un movimento che è finalizzato a usare la piazza come strumento di pressione politica. Ma questo è una definizione in realtà già superata perché le “sardine” hanno smesso di andare in piazza. Però hanno ancora mantenuto il loro obiettivo centrale quello di andare contro e quindi di utilizzare l’opposizione rispetto ai cosiddetti sovranisti e ai cosiddetti populisti. Questo scopo proviene dalla tradizione italiana di più lungo periodo che era la tradizione antifascista. Inoltre, il fenomeno delle “Sardine” doveva servire a ridare entusiasmo e forza ai valori fondanti della sinistra”.

— A Suo avviso, le Sardine sarebbero nate senza Salvini, senza i 5 Stelle, senza la crisi di rappresentanza?

— Io direi assolutamente di no. Da un lato, ci vuole Salvini e l’idea che ci sia un “pericolo”. E rispetto a questo tipo di “pericoli” nel nostro Paese c’è una lunga tradizione di mobilitazione, perché l’Italia è una Repubblica, come è noto, nata sulla base di antifascismo. Però nel tempo la definizione del fascismo si è allargata e quindi è nata una tradizione di uso dell’antifascismo contro dei fenomeni che in genere erano fenomeni di destra e che si riteneva che fossero sgraditi ad una certa cultura progressista. Quindi, c’è questa tradizione e adesso c’è Salvini che è considerato da loro come “nuovo fascismo” contro il quale si sono mobilitate le Sardine. Senza Salvini, non ci sono le Sardine. Questo è evidente. Cosi come senza la debolezza della sinistra, non ci sono le Sardine. Se la sinistra avessi avuto la forza e la capacità di opporsi a Salvini e di combatterlo, non c’è sarebbero stato bisogno delle Sardine.

Quindi, secondo me, per la nascita di questo movimento, ci volevano tutte le due cose: il “pericolo” di destra e la percezione che la sinistra non è in grado di rispondere a questo pericolo.

Santori delle Sardine: ‘Nei palazzi del governo ci sono i bombaroli. M5s ha paura di noi’

— Le Sardine non vogliono essere paragonate con il M5S e non vanno molto d’accordo con i grillini. Ma sono davvero cosi diversi dai 5 Stelle?

— Il loro punto simile è il fatto che comunque nascono da un fallimento percepito delle istituzioni rappresentative. Loro ragionano cosi: “Non siamo rappresentati, chi ci rappresenta non ci soddisfa, dobbiamo quindi organizzarci per conto nostro”. Questo è l’unico elemento di somiglianza tra le Sardine e il M5S.

Gli elementi di differenza, secondo me, sono molti. Il primo è che il M5S è molto più effimero, è un Movimento che ha avuto delle radici, si è costruito e durato nel tempo. Le Sardine sono state una fiammata. Adesso vediamo cosa succederà, ma potrebbero anche già essere finite e di essere stato un’esperienza di qualche mese. I 5 stelle invece sono andate avanti negli anni, anche di prima di avere successo politico. L’altro elemento è che il M5S ha una grande rabbia nei confronti dei partiti tradizionali. Mentre, le Sardine non sono affatto arrabbiate, sono rivolte contro la destra ma non sono rivolte contro la sinistra, anzi con la sinistra sono molto affettuose. Sono sostanzialmente un movimento che vuole aiutare, fiancheggiare il PD e il M5S non voleva aiutare, fiancheggiare il PD, lo voleva distruggere.

— Questo movimento è molto spesso accusato dalla mancanza di una strategia. Come valuta le loro ultime mosse dal punto di vista del marketing, dello storytelling politico e della comunicazione anche nell’ottica del cosiddetto “caso Benetton”?

— La mossa “Benetton” era chiaramente sbagliata che però rientra in un discorso complessivo del rapporto che c’è fra la sinistra e i centri di potere economico, perché naturalmente da sinistra storicamente nasce l’impronta a favore dei deboli. Però negli ultimi decenni questa situazione è cambiata molto – i grandi centri di potere economico sono diventati molto progressisti in termini ideologici e di conseguenza la sinistra ha stabilito dei rapporti forti con loro. Il Fondo Benetton è un po’ il caso di questo tipo.

Benetton è l’azienda di vestiti che ha dato grandi messaggi di sinistra al mondo: “United colors”, “Siamo tutti uguali: i bianchi, i neri, i gialli”. Però Benetton è comunque un centro di potere economico che poi ha utilizzato queste sue risorse in campi diverse: da quello di abbigliamento agli investimenti sulle autostrade, e poi diventa l’azienda sospettata di non avere investito sulla manutenzione dell’Autostrada e quindi aver causato il crollo del Ponte Morandi.

Qui si misurano tutte le contraddizioni interne ai a partiti di sinistra negli ultimi 30 anni. Sempre di più gli elettori percepiscono questi partiti non come partiti vicini ai deboli ma come partiti vicini ai forti. Non è solo un problema delle Sardine, che ci sono praticamente cascate dentro. Da un lato, sono andate a fare la foto con i Benetton perché è un’azienda progressista che dice che “Siamo tutti uguali”, “I colori non contano”, “Il mondo è multiculturale”, ma nello stesso tempo Benetton è anche l’Atlantia e quindi pure quello che è ritenuto responsabile per il crollo del “Ponte Morandi”. Quella mossa delle Sardine è stata sicuramente un errore che ha a che fare con l’identità della sinistra di oggi che è un grandissimo punto interrogativo. Questo è un problema molto serio sul quale la sinistra dovrà riflettere, secondo me, ancora molto a lungo.
Chi sono realmente le Sardine?

— Cosa faranno ora le Sardine? Pensa che saranno davvero capaci di evolversi in una vera e propria proposta politica o perderanno la sua?

— In questo momento non si riesce più a capire che cosa siano le Sardine e neanche se abbiano un vero futuro, perché in piazza non ci vanno più, non sono più tanto visibili anche perché c’è il coronavirus. L’unico fatto positivo del coronavirus è che ha distratto attenzione dalle Sardine. E quindi non si capisce bene cosa hanno in mente e quale strategia vogliono adottare. È chiaro che a questo punto, o loro si inventano qualcosa, rilanciano il movimento, cercano di trovare un modo diverso di proporsi, altrimenti c’è il rischio che questa sia un’esperienza che va a morire. Secondo me, è un rischio reale.

— A proposito del coronavirus, perché, a Suo avviso, le Sardine non si sono ancora espressi sul tema che preoccupa tutta l’Italia in questo momento? Le sembra normale che un movimento sociale non fa nessuna dichiarazione a questo proposito?

— Loro si sono sempre mossi sul livello di valori, hanno sempre fatto dei discorsi molto astratti, molto generali. Hanno sottolineato che non sono un partito e quindi non vogliono entrare dentro dei dettagli. Però, certamente, il fatto che non hanno fatto nessuna dichiarazione riguardo il coronavirus, dimostra un po’ la loro debolezza. In momento in cui c’è un grande problema pubblico, il fatto che loro non si pronunciano e come dire: “rispetto a questo fenomeno non abbiamo niente da dire”. Questo punto mi sembra molto significativo della loro difficoltà di trovare uno spazio al di là della prima fiammata iniziale e dell’attenzione e della visibilità che hanno avuto anche grazie al caso dell’Emilia-Romagna. Finito questo, loro fanno grande fatica a ricollocarsi e a ritrovare una raison d’être.