Cimitero dei feti, una regressione morale, culturale e politica

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Una donna ha denunciato di aver ritrovato il suo nome su una croce del cimitero Flaminio di Roma dove – a sua insaputa e senza il suo consenso – era stato seppellito il feto che portava in grembo prima di un aborto terapeutico. Questa vicenda sconcertante svela la violazione di due principi fondamentali che non dovrebbero mai venire meno, soprattutto riguardo a una materia così delicata.

Primo, la necessità di avere regole chiare. Chi ha permesso all’ospedale di fornire i dati della donna, poi finiti sulla croce? È stato brutalmente negato il diritto all’anonimato della donna, garantito dalla legge 194. Su questo aspetto sta già indagando il garante della privacy. Più in generale, come può un tema così sensibile essere regolato da circolari opache, contraddette in alcuni casi da norme regionali, che di fatto tutelano solo i diritti di chi desidera la sepoltura e non il contrario? Chiediamo al Ministro Speranza di fare prima chiarezza sull’accaduto, per ora l’AMA e l’Ospedale San Camillo si stanno rimpallando le responsabilità – e di avviare rapidamente il percorso che porti a una norma nazionale, chiara e trasparente.

Non meno importante dell’aspetto giuridico è la questione del rispetto della donna. La cosa più grave è che questa mancanza arrivi proprio da chi dice di voler difendere la vita e finisce invece per usarla strumentalmente, in uno scontro ideologico che ha il sapore del fondamentalismo integralista, divisivo, accusatorio e colpevolizzante verso le donne – che credevamo superato da tempo. Questa vicenda, che segna una regressione morale, culturale e politica, lascia attoniti. Azione è al fianco delle donne e della loro libertà. Per questo ci impegneremo affinché sia fatta piena luce su questa gravissima vicenda e che venga definito un quadro normativo chiaro.

Alessia Centioni, responsabile Pari Opportunità

Emma Fattorini, responsabile Cultura