CONFINDUSTRIA TACE I SUOI (TROPPI) ASSOCIATI DISONESTI

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Da qualche anno a questa parte, ogni volta che nella Pubblica amministrazione scatta un blitz contro i furbetti del cartellino, sui tavoli delle redazioni piomba un comunicato. Lo firmano i sindacati più importanti. Le parole e i concetti sono quasi standard. C’è la “ferma condanna” degli assenteisti. C’è la richiesta di processi rapidi per “punire chi, col suo comportamento, danneggia i cittadini e la maggioranza di lavoratori onesti”. C’è l’auspicio che vengano accertate le eventuali responsabilità dei dirigenti. Per i dipendenti pubblici coinvolti scatta la sospensione dalle rispettive organizzazioni sindacali. E nei rari casi in cui una sigla invita alla prudenza o addirittura difende chi ritiene accusato ingiustamente, scattano dure reprimende a reti e giornali unificati.

Ogni episodio, va detto, fa storia a sé. Spesso le critiche allo spirito corporativo e alla connivenza del sindacato sono meritate, altre volte no. Basta però una semplice ricerca su Google per rendersi conto di come, almeno in anni recenti, nessun importante leader dei lavoratori abbia mai provato a respingerle sostenendo che fossero frutto di “un pregiudizio anti-sindacale”.

La musica invece cambia se si guarda all’altro sindacato. A quello padronale di Confindustria. Quando il 9 giugno il presidente dell’Inps Pasquale Tridico afferma di vedere “un Paese con molte zone grigie” in cui “stiamo sovvenzionando con la Cassa integrazione anche aziende che potrebbero ripartire, magari al 50 per cento, e grazie agli aiuti di Stato, per pigrizia od opportunismo, preferiscono non farlo”, la reazione dei vertici di Viale dell’Astronomia è violenta. “Insinuazione”, “pregiudizio anti-imprese”, “dichiarazioni qualunquistiche”, “parole sconcertanti”, “ingenerose”, “diametralmente opposte ai fatti”, dicono le varie associazioni imprenditoriali. Quando poi, il 17 giugno, si scopre che l’Inps ha bloccato l’erogazione della cassa ai dipendenti di 2.549 aziende perché considerate a rischio frode (c’erano persino imprenditori-prenditori che avevano assunto durante il lockdown i propri parenti pur di ottenere gli ammortizzatori sociali), i vertici di Confindustria non proferiscono verbo. E tacciono pure per qualche giorno quando l’Ufficio studi di Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio certificano che oltre un quarto delle ore pagate di cassa integrazione riguarda imprese sane nonostante il Covid. Aziende che non hanno subito riduzioni di fatturato rispetto all’anno precedente. Fatti due calcoli salta fuori che le somme impropriamente erogate potrebbero ammontare addirittura a 2,7 miliardi di euro.

Ma la presa di distanze di Confindustria dai furbetti non arriva. E anzi il vicepresidente, Maurizio Marchesini, insiste sul “sentimento anti-industriale che cresce nella politica e nella società civile”. Intendiamoci, Marchesini forse non ha torto quando spiega che non tutti quei 2,7 miliardi di euro vanno considerati frutto di un magheggio. Ma la verità, come emerge dalle tante segnalazioni arrivate al Fatto Quotidiano, è una sola. Ci sono in Italia migliaia di dipendenti che per settimane hanno continuato a lavorare pur essendo stati messi in cassa integrazione. Se ci pensate è un’ovvietà.

Così come tra i lavoratori esistono i disonesti, allo stesso modo non vanno considerati corretti a prescindere gli imprenditori. Per questo sarebbe bene che i nuovi vertici di Confindustria imparassero a dire la verità, rispettando sia gli italiani sia la maggioranza dei loro associati (quelli onesti). Perché il sentimento anti-imprese non esiste. Quello anti-balle sì.                                                                          Peter Gomez – F.Q.