Contro i voltagabbana serve la decadenza dal mandato

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La recente proposta “antivoltagabbana” di Enrico Letta, che dovrà essere formalizzata dai gruppi Pd del Senato e della Camera e presentata alle rispettive Giunte del Regolamento, ha il merito di avere riaperto il dibattito sulle modifiche dei Regolamenti parlamentari in vista della nuova composizione delle Camere nella prossima legislatura, quale disegnata dai “Sì” al referendum sulla legge costituzionale che ha ridotto il numero dei senatori da 315 a 200 e quello dei deputati da 630 a 400.Occorre preliminarmente avvertire che eventuali misure da infliggere ai parlamentari che cambiano, con la bandiera, il gruppo emanazione del partito che li ha fatti eleggere e al quale si sono liberamente iscritti all’inizio della legislatura, non hanno nulla a che vedere con il divieto di mandato imperativo sancito dall’art. 67 della Costituzione. Per esso il parlamentare rappresenta l’intera Nazione e non può essere assoggettato ad alcun ordine, direttiva o istruzione riguardanti l’esercizio delle sue funzioni, una prerogativa di valore assoluto che lo accompagna per tutta la durata della carica, quali che siano i suoi passaggi da un gruppo a un altro (i trasformisti – eredi della italica tradizione cha va da De Pretis a Giolitti, ma che risulta pressoché sconosciuta nelle prime legislature della Repubblica – figurano tra gli appartenenti al Gruppo misto che attualmente conta 78 deputati e 39 senatori, mentre sono 216 i cambi complessivi di gruppo). Contro questo indegno fenomeno migratorio che finisce anche per alterare il rapporto numerico tra maggioranza e opposizione, Enrico Letta propone di adottare la regola del Parlamento europeo per cui i deputati che abbandonano il loro gruppo senza aderire ad altra formazione parlamentare acquistano lo status di “non iscritti ”. Attualmente, nel Parlamento Ue che conta 705 membri, i “non iscritti “ sono appena 29 e ciascuno di essi dispone di una segreteria e di altre strutture amministrative (art. 36 del Regolamento) continuando a percepire l’indennità prevista dall’art. 9 dello Statuto dei deputati europei.

In Italia i parlamentari che si dimettono dal gruppo originario transitano obbligatoriamente nel Gruppo misto (sono attualmente alla Camera e al Senato) senza alcuna limitazione né nell’esercizio della funzione (per gli interventi in aula devono sottostare alla ripartizione dei tempi assegnati al Gruppo misto) né sul piano economico (l’indennità parlamentare prevista dall’art. 69 della Costituzione è intoccabile, mentre le altre voci del trattamento economico quali la diaria, il rimborso spese ecc. non incontrano alcuna riduzione). Come si vede, non solo non esiste alcun disincentivo che distolga il parlamentare dalla tentazione dell’abbandono ma, al contrario, costui è incentivato a passare al Gruppo misto sia per ragioni politiche sia per motivi pratici (non dovrà più sborsare i contributi finanziari che si era impegnato a versare al gruppo di origine). Letta ha ragione quando afferma che all’estero i cambi di casacca e i Gruppi misti del Parlamento italiano non sono capiti, ma visto che l’esodo massiccio dei nostri Arlecchini verso nuovi lidi è destinato a continuare, non resta che ricorrere alla drastica e definitiva soluzione della decadenza dal mandato parlamentare che si giustifica oltre ogni dubbio per ragioni politiche e morali. Come ha scritto Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, “il parlamentare è libero di cambiare partito e anche di votare in dissenso dal suo gruppo. Ma, se lascia la maggioranza con cui è stato eletto per passare all’opposizione, o viceversa (caso molto più frequente) subito dopo deve decadere da parlamentare: perché ha tradito i propri elettori e ha stravolto il senso politico della sua elezione”.                                                                                                                               di Nicola Ferri