Coronavirus e Brexit. Mercato UK a rischio per l’export Made in Italy che vale 3,4 mld euro

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Nel panorama mondiale delle importazioni agroalimentari il Regno Unito figura al sesto posto con oltre 58 miliardi di euro di prodotti importati nel 2019, nonché al secondo per quanto attiene agli acquisti di vino (poco meno di 4 miliardi di euro).

Rispetto a questi scambi, l’Italia rappresenta un importante partner; l’anno scorso, a fronte di 3,4 miliardi di prodotti agroalimentari esportati dall’Italia in Gran Bretagna, quasi un quarto ha riguardato vino, facendo del nostro paese il secondo fornitore dopo la Francia.

Come risaputo, gli inglesi adorano lo spumante tanto che, nel giro di appena cinque anni, hanno incrementato le importazioni di “bollicine” italiane (in primis Prosecco) da 59 a 96 milioni di litri (più o meno 128 Milioni di bottiglie). Ma il vino non è l’unico prodotto del made in Italy a deliziare il palato degli inglesi. Il Regno Unito rappresenta infatti il secondo mercato di destinazione delle nostre conserve di pomodoro e il quarto per quanto concerne pasta e formaggi. In altre parole, e alla luce della rilevanza di tale mercato per il nostro food&beverage, tra epidemia di coronavirus e rischio “no deal” in tema Brexit, non possiamo certo dormire sonni tranquilli.

Proprio per capire cosa sta accadendo nella percezione e nei comportamenti di consumo dei cittadini britannici alle prese, come tutto il mondo del resto, con il lockdown, Nomisma Wine Monitor ha realizzato un’indagine su un campione di 1.000 consumatori di vino della Gran Bretagna (in particolare residenti a Londra e nelle grandi città del Regno con oltre 500.000 abitanti).

Va subito detto che i trend che stanno caratterizzando (o hanno caratterizzato, a seconda del fatto che la quarantena sia finita o meno) i consumi di vino nel periodo suddetto e nei diversi mercati mondiali, sono generalmente contraddistinti da uno spostamento verso tipologie di vini più “economici”.

La chiusura dei ristoranti e dei pub/wine bar, la crescita dei consumi a livello quotidiano e non più occasionale, la riduzione della frequenza di acquisto presso negozi e GDO (per evitare troppi contatti con altre persone) e, ovviamente, i vincoli di bilancio familiare sempre più stringenti, rappresentano i principali motivi alla base di tale riposizionamento dei consumi verso il basso. Una tendenza che ha interessato l’Italia, gli Stati Uniti ed anche il Regno Unito.

“Uno dei principali fattori di scelta nel consumo di vino che resta, ed anzi acquisisce ancora più importanza per il consumatore britannico durante il lockdown è proprio il prezzo, accanto alla reperibilità di informazioni sul web, così come emerso dalla nostra indagine. E in effetti, un consumatore inglese su due ha dichiarato di aver acquistato vino on-line durante il periodo di quarantena”, evidenzia Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma.

Tutto il mondo è paese. Con la chiusura del canale Horeca, lo sviluppo dell’e-commerce di vino e prodotti alimentari ha conosciuto ritmi di crescita vertiginosi in tutti i mercati colpiti dall’epidemia da Covid-19. Resta da capire come questi trend di consolideranno. Per quanto riguarda invece l’ipotesi di un “revenge spending”, i britannici non sembrano troppo propensi a festeggiare – quando ci sarà – la fine del lockdown.

“Solamente il 18% dei consumatori si dice pronto a spendere di più per il vino una volta che riapriranno pub e ristoranti contro un 17% che afferma il contrario e un altro 28% che addirittura berrà meno vino perché uscirà di casa con meno frequenza rispetto a quanto faceva prima dell’epidemia”, aggiunge Pantini.

A quanto pare, la multicanalità diventerà quindi una strada obbligata nelle strategie commerciali dei produttori di made in Italy alimentare, vista l’eredità che sembra lasciarci il coronavirus in tema di comportamenti di acquisto di wine&food. E probabilmente, non sarà nemmeno l’unica sfida.

Non va infatti dimenticato come il Regno Unito, dal 1° febbraio scorso, sia diventato uno “Stato Terzo” rispetto all’Unione Europea con la previsione di un regime transitorio fino al 31 dicembre 2020 durante il quale vige ancora l’unione doganale e soprattutto, si stanno negoziando le condizioni per un futuro partenariato, a partire dal 2021.

Purtroppo i primi segnali che arrivano dai tavoli di negoziazione non sembrano andare nella direzione di un raggiungimento dell’accordo.

“Quasi si percepisce la sensazione del governo britannico di voler ripartire da zero, sfruttando gli impatti derivanti dalla pandemia per riprogrammare l’intera politica economica e commerciale del paese, con tutti i rischi però connessi”, dichiara Paolo De Castro, Membro del UK Monitoring group del Parlamento Europeo e componente del Comitato Scientifico di Nomisma.

Rischi che in primis riguardano sicuramente lo stesso Regno Unito, dato che l’autosufficienza alimentare del Paese è appena pari al 50%.