Da Bologna un Pd che si apre e innova, orizzonte ampio e ambizioso

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Tre giorni densi, impossibili da sintetizzare in poche righe. Però qualche considerazione si può tentare.

Se, come credo, l’obiettivo di Nicola Zingaretti e del gruppo dirigente del Pd era quello di aprire una stagione completamente nuova nella vita del nostro partito e porre le basi per un campo democratico e progressista forte e plurale, allora credo si possa dire che l’obiettivo è stato raggiunto. Sottolineo i due verbi “aprire” e “porre le basi”. Non un approdo ma una partenza, non un’inaugurazione ma la posa della prima pietra di un edificio che deve essere bello, largo, accogliente, aperto.

“Tutta un’altra storia” per scrivere gli anni 20 del 2000, un impegno che non si è certo compiuto con il dibattito e gli interventi di questi giorni a Bologna.

Due aspetti “di metodo”, in realtà di cultura politica, credo siano stati evidenti.

Primo: la politica non può fare a meno del dialogo sociale, del confronto con i sindacati, con il mondo delle imprese, con i mondi organizzati nella società civile. C’è qui un punto di rottura culturale da salutare positivamente. Dopo anni in cui si è teorizzata la disintermediazione, la crisi irreversibile dei corpi intermedi, l’inutilità del confronto per assumere decisioni dal governo, abbiamo esplicitamente riconosciuto il valore essenziale degli interlocutori sociali. E non è un caso che, dai leader sindacali al presidente di Confindustria passando per i dirigenti di Acli, Lega Ambiente, Arci, questa novità sia stata colta e sottolineata.

Secondo: hanno parlato molte persone non aderenti al Pd, spesso voci critiche, e abbiamo potuto ascoltare contributi di tante competenze ed esperienze diverse. Abbiamo visto un bel po’ di facce nuove, bene. L’apertura del Pd verso tanti mondi che sono fuori di noi è un imperativo per dare credibilità e senso all’idea di un partito che vuole rimettere in moto l’Italia. Se vogliamo combattere la sfiducia nei confronti della politica dobbiamo coinvolgere forze nuove, dare spazio a chi ha voglia e capacità per mettersi in gioco, inventare nuove forme e strumenti di partecipazione. Solo cosi possiamo contrastare quella che oggi Melloni ha chiamato la “fascinazione dell’autoritarismo” .

Infine una considerazione sul “posizionamento” e l’identità del Pd.

È possibile che domani leggeremo qualche commento su un partito che si sposta “a sinistra”, sicuramente vedremo qualche avversario o competitore giocare su questa semplificazione.

Ha fatto bene Zingaretti nelle conclusioni a chiarire che l’orizzonte verso cui ci muoviamo è decisamente più ampio e ambizioso.

Vogliamo strappare alla destra quegli elettori che, a causa delle paure e delle inquietudini che la crisi ha prodotto e acuito, cercano protezione e speranza per il futuro.
Vogliamo ripartire dalle diseguaglianze non solo per dare risposte a chi è rimasto indietro ma anche perché la crescita di un Paese come il nostro – con un alto debito accanto a grandi punti di forza – richiede di liberare tutte le nostre energie, a partire da quelle dei giovani, delle donne, del Mezzogiorno che non possono restare ai margini.
Vogliamo ripartire dalla sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo che richiede una grandissima dose di innovazione e una radicale capacità di aggiornare le nostre analisi e avanzare proposte originali. In questo senso l’Ilva è ancora di più un banco di prova ineludibile: lavoro e salute devono poter stare insieme. Una moderna politica industriale può anzi nascere proprio a partire dalla consapevolezza dei rischi per l’ambiente e dalla ricerca di nuove soluzioni scientifiche e tecnologiche.

Ecco, questo è il “succo” buono delle nostre tre giornate di Bologna. Una sfida che ci richiede un vocabolario in parte ancora da scrivere. Esattamente il contrario di un ritorno ad identità passate e consolatorie