Da una settimana li vediamo entrare convinti e uscire contenti dalla Sala della Lupa

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Seduti al tavolo con quel signore da molti anni sulla scena mondiale ma mai sottoposto al voto. Che figura hanno fatto i nostri politici? Come sono usciti dalle trattative per un governo, che ormai nascerà e al quale, almeno all’inizio, non potranno che dir sì?
A Beppe Grillo spetta il riconoscimento del primo attore. Ha costruito un rapporto con Draghi e gli ha chiesto una cosa, “il ministero per la transizione ecologica”, che il Presidente Incaricato non poteva non dargli, visto che è fra quelle che l’Europa ci propone. Ma che a Grillo è servita per convincere i 5Stelle che un tema del MoVimento aveva trovato posto nell’agenda di governo e che forse l’antico “banchiere di Dio” era diventato un po’ “grillino”. Ha incassato 44.177 sì degli “iscritti certificati” alla formazione del nuovo governo contro 30.360 no. Ha perso – è vero- uno dei delfini, Di Battista che se ne va, ma la sua uscita potrebbe persino ridurre il numero dei “portavoce” che cambieranno casacca. I 5Stelle resteranno la prima forza parlamentare che appoggia il governo.
A Salvini spetta la palma del più sorprendente. Il No all’Euro e all’Unione è diventato Sì, a Roma e pure Bruxelles. Sacrificato in nome del “pragmatismo” il “mai col Pd”. Dimenticata la “tassa piatta”. La competenza sui migranti passa all’Europa (“E mi vogliono pure condannare…”). E poi l’elogio sperticato di Draghi. Come se Trump, alla vigilia della Befana, avesse detto: “Sapete, questo Biden in fondo è una brava persona”. Gli restano tre spine. La rete che conserva memoria. Troll de “la Bestia” e “giovanotti palestrati” potrebbero gridare al tradimento. Giorgia Meloni, che a destra diventa il simbolo del No al trasformismo e che forse chiederà la guida delle commissioni di garanzia, Copasir, Autorizzazioni a procedere, Vigilanza, che di solito spettano all’opposizione.
Per Berlusconi, 84 anni suonati, l’oscar alla carriera. Telecamere che lo assediano, tu confidenziale con Draghi, conversazione in poltrona col figliol prodigo, Salvini, nella nuova dimora romana. È fragile e ha il cuore pazzo, ma se Draghi è il garante per l’Italia in Europa, Berlusconi può garantire il rafforzamento del Partito Popolare Europeo con l’arrivo degli ex sovranisti nostrani. E chissà, se Draghi restasse inchiodato a Palazzo Chigi fino al 2023, il “Caimano” potrà sperare quello che anessun condannato in via definitiva avrebbe mai potuto immaginare: finire da presidente della repubblica.
A Zingaretti il premio della giuria, con qualche dubbio. È passato dal “solo con Conte” a “bene con Draghi” senza rompere con Conte, Anzi rilanciando l’alleanza 5Stelle, Pd, Liberi e Uguali, che potrebbe tornare utile per eleggere i sindaci delle grandi città. Ha finalmente ricambiato lo “Ciaone” a Renzi, ma il suo problema resta il Pd, ancora renziano. Non solo per gli “entristi” rimasti, Marcucci,. Capogruppo al Senato, Bonafé, segretaria della Toscana, ma perché un partito di assessori, sindaci, governatori, parlamentari e nominati, che tutti vogliono qualcosa, prima di scegliere se dire Sì o No.
Premio della stampa estera per il “rottamator” giovane. Deve baciare la pantofola a un Presidente più “vecchio” di Bersani e D’Alema. Rendere omaggio ai “corpi intermedi”, a Landini, agli ecologisti. E mettersi rispettosamente in fila, se vuole costruire il centro, dopo Berlusconi Calenda. Ma si consola, all’estero. “Draghi? Tutto merito mio. Ho fatto un capolavoro politico”, va scrivendo su New York Times, Le Monde, Financial Times. Gli crederanno? Può anche darsi, se Biden mettesse molti fiori nei fucili e cercasse un’intesa con i repubblicani golpisti, Netanyahu, Bin Salman. Altrimenti il viaggio a Riyad e l’obolo di 80mila dollari l’anno lo perseguiteranno. Intanto senatori e deputati di Italia Viva, Maria Elena Boschi in testa, prenderanno a chiedersi: “ma della fedeltà mostrata, a noi che resta?”