Dal Monte Verità all’ “elisio”: alla ricerca di una riforma della vita, di Caterina Iaquinta

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La vergogna ci ha vestiti, l’onore ci denuderà di nuovo. Sono queste le parole che incorniciano uno dei pochi ritratti fotografici di MEVA – in cui M sta per mente e maschio ed EVA sta per prima femmina e madre – l’uomo della natura, nato Josef Raphael Salomoson, ex-console olandese e, all’inizio del XX secolo, tra gli abitanti più solitari e radicali della collina del Monte Verità.

Lo stesso Monte che, estendendosi dalle spalle di Ascona fino a formare una penisola a Ovest del Lago Maggiore, nel 1900 si presentò agli occhi di Ida Hofmann, Henri Oedenkoven, Karl e Gusto Gräser e Lotte Hattemer, come cornice ideale in cui disegnare quell’idea tanto inseguita di “riforma della vita”.

Tra le diverse tendenze che caratterizzarono il movimento rientrava anche il Clarismo, fondato intorno al 1920 da Elisàr von Kupffer, uno spirito libero dedito alla scrittura e all’arte. Di derivazione teosofica, la dottrina manteneva un accento religioso, aspetto visibile oggi nell’architettura del santuario dedicato al culto clarista e progettato da von Kupffer, insieme al compagno Eduard von Mayer, come metafora del compimento di un percorso interiore dal caos alla trascendenza.

Inaugurato a Minusio nel 1927, il Sanctuarium Artis Elisarion si presentava come un edificio neoclassico che doveva fungere da dimora privata e meta di pellegrinaggi. Nel 1939 si concluse un suo ampliamento con l’aggiunta di una rotonda, luogo simbolicamente associato al culmine dell’illuminazione spirituale, dove al secondo piano Elisàr fece collocare Il chiaro mondo dei beati, sua ultima opera pittorica. Nel dipinto di dimensioni ambientali, ispirato al culto efebico, Von Kupffer propone un omaggio all’amore omoerotico e al corpo maschile in un mondo incontaminato di pace e luce, tra lo stile de Puvis de Chavannes e i ritratti e le scene costruite e poi fotografate nello stesso periodo da Wilhelm Von Gloeden.

Nel 1978 Harald Szeemann fu il primo a mettere in atto un tentativo di collegamento tra la comunità di Monte Verità e il Clarismo che, seppure collocate a una breve distanza l’una dall’altra, non ebbero rapporti diretti. In occasione della mostra Monte Verità. Le mammelle della verità presso Casa Anatta, una delle strutture storiche del Monte, Szeemann fece costruire l’Elisarion, un padiglione in cui trasportò ed espose il dipinto di Von Kupffer che ormai versava in uno stato di degrado e di generale indifferenza. Questa scelta del curatore svizzero rientrava nel progetto di ricostruzione dell’esperienza del Monte Verità proprio lì dove ebbe luogo, forse con l’aspirazione a una ricostruzione della genesi di quella riforma che aveva coinvolto il centro Europa un secolo prima. Ma con Le mammelle della verità, secondo la straordinaria capacità visionaria che contraddistinse il suo pensiero, Szeemann su quel palcoscenico di ideale e universale fratellanza, sceglieva questa volta di rimettere in scena non solo il singolare magnetismo di quella compagine, ma anche il risvolto individualistico di quella che fu soprattutto un’esperienza edenica, segno tangibile della fine delle utopie comunitarie del decennio precedente.