Davide Faraone: “Via prescrizione e mance di Stato”

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Chiudere la stagione dell’assistenzialismo, così come è stato fatto per un breve periodo significava spingere i giovani a sognare e a costruirsi un lavoro, e stava finalmente facendo crescere la nostra produzione e la qualità del nostro prodotto.

Vi parlo del Sud perché è li che l’accesso malato all’amministrazione pubblica ha distrutto le vite di tanti ragazzi: ingegneri messi a spazzare le strade o a fare i vigili urbani pur di aver il posto fisso, spesso clientelare. È stato un breve periodo, poi tutto questo si è interrotto. Penso ai settori economici più interessanti, la new economy, l’agricoltura e il turismo, dove la parola “impresa” aveva smesso dì essere una parolaccia: con il Jobs Act si favorivano le assunzioni e si apriva una finestra di fiducia nel futuro.

Naturalmente servivano tempo. investimenti, infrastrutture, credito ai giovani, ma questo percorso andava incoraggiato e sostenuto. Avevamo investito decine di miliardi nei vari Patti per il Sud per realizzare le infrastrutture e instradare l’innovazione. Separare il lavoro dall’assistenza, introdurre misure strutturali e il contrasto alla povertà: il reddito d’inclusione era stato realizzato con questo obiettivo, andava potenziato, non abolito. Così come la Naspi, che non lasciava senza reddito chi perdeva lavoro in attesa di trovarne un altro.

Ed ora? Siamo tornati indietro di qualche decennio. Il Movimento 5 Stelle ha reintrodotto i lavori socialmente utili travestiti da reddito di cittadinanza, la Lega ha decretato che il Sud tornasse a essere il granaio elettorale assistito economicamente. Senza proposta di lavoro, quello che doveva essere un reddito temporaneo, fornito dallo Stato in attesa d’occupazione, diventa un reddito permanente, una pensione sociale anticipata per tutti, una desertificazione dei nostri cervelli, della nostra voglia di fare.

Mi sono chiesto dove diavolo lo abbiamo lasciato l’orgoglio, noi del Sud? Prendere una mancia, azzerare le nostre coscienze, la nostra voglia di fare, mentre nel mondo si viaggia a mille. Noi avevamo tracciato un orgoglioso percorso per la crescita del Sud, questi si comprano la nostra anima con qualche moneta. Ne valeva proprio la pena? No, perché, fateci caso: sono ripartiti tutti, ma proprio tutti, tranne noi. L’Italia non riesce a uscire dalla crisi ecl è stata doppiata da paesi come la Grecia o il Portogallo, Chiunque ha ingranato la marcia ed ha saputo rialzarsi, austerità o meno. Noi no, e la ragione è molto semplice: in questi anni bui di recessione la crisi non è stata gestita ma ingrossata da un populismo autolesionista che ha fatto invece benissimo il suo lavoro, quello di creare sempre più scontento, ancora più povertà, affinché le persone potessero continuare a dire che nulla va bene e tutto va cambiato.

Quindi, mentre i riformisti sono stati divorati dalla bestia del sovranismo che ha messo le sue feroci mani sulle spalle degli italiani per bloccarli a terra, la crisi, con le sue conseguenze più evidenti, dalla perdita del lavoro, all’aumento delle disuguaglianze sociali, fino al disfacimento del tessuto economico ed etico di una società che voglia dirsi civile, avanzava su una strada spianata. La stessa che alcuni continuano a battere ed allargare, casomai qualcuno alzasse la testa e volesse mai uscire dalla recessione. Ora rimetterci in corsa è dura, ma non possiamo più aspettare.

In questo quadro cosa hanno fatto di buono i bravi governanti che ci hanno preceduto? Hanno pensato bene di dare un sussidio a tutti a prescindere dal merito, dato che non è nemmeno più vera la storia dei giovani sul divano che percepiscono il reddito di cittadinanza: l’assegno di Di Maio lo prendono anche i delinquenti e quelli che guidano la Porsche bevendo Dom Perignon. Ora, ci possono dire che vogliamo far cadere il governo, che siamo dei rompiscatole, però una cosa è certa: il reddito di cittadinanza va abolito, così come va eliminata quota 100 perché non possiamo continuare ad essere un Paese dove le risorse invece che sulla crescita vengono messe per sostenere anche il reddito di chi lavora in nero o per mandare in pensione anticipatamente chi comunque una pensione già ce l’ha garantita, quando per le nuove generazioni non vi è alcuna certezza.

Più che le timide parole di Conte, stretto tra i turbamenti del M5S e l’ultima spiaggia del Pd, che nella conferenza di fine anno ha detto che il reddito di cittadinanza va ‘rivisto” (ma va’?) preferisco quelle di Mattarella che nel suo discorso al Paese ha richiamato l’urgenza di tornare a dare fiducia e affidare responsabilità ai giovani.

Come gliela diamo questa chance ai nostri figli se i soldi che dovremmo investire sul loro futuro, sulla formazione, sulla creazione di posti di lavoro, per sganciare l’Italia da una burocrazia soffocante, li diamo a chi spesso non li merita affatto?

E così, mentre i furbetti del reddito dilagano, l’Italia si impoverisce e diventa sempre di più un paese illiberale e ingiusto, dove il lavoro non esiste più ma in compenso esisteranno i processi eterni. Manette e tasse, insomma. Ecco, se volete sapere quali saranno i punti della famosa verifica di gennaio sono proprio questi due: via il reddito di cittadinanza e no alla riforma della prescrizione. L’Italia è ferma, ha bisogno di crescere: è questa la svolta che chiediamo al Conte 2 per andare avanti, proprio noi che l’abbiamo ideato.