Democrazia infettata

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In Italia è in vigore lo «stato di eccezione», introdotto a colpi di decreti amministrativi del Capo del Governo, il che dal punto di vista giuridico significa una vera e propria sospensione del diritto e, con esso, dei diritti fondamentali previsti in Costituzione. Decreti non emanati dal Presidente della Repubblica e non sottoposti a conversione in legge e dunque sottratti all’esame parlamentare. Lo Stato costituzionale di diritto si sta trasformando tendenzialmente in Stato di polizia e tutto questo accade nel silenzio quasi totale. “Fate presto” e “fate come in Cina”, ne va della vita. E di fronte alla vita persino un regime totalitario diventa un modello da seguire.

Ma non eravamo una democrazia liberale? Non ci siamo beati per decenni della nostra magnifica “cultura dei diritti”, di cui nel giro di ventiquattro ore ci siamo sbarazzati? E a causa di cosa, esattamente? L’unico fatto che ha giustificato tutto questo è un dato relativo all’organizzazione sanitaria: non ci sono, si dice, abbastanza posti letto in terapia intensiva se il numero dei malati dovesse aumentare. Non si dice perché manchino i posti letto. Questo è irrilevante. La domanda del tutto lecita però è la seguente: questo fatto giustifica, rende legittima la sospensione di libertà e diritti di cui, dal secondo dopoguerra, non abbiamo fatto che ripetere quanto fossero “inalienabili” e “fondamentali”?

La risposta è: sì, certamente. Perché la necessità, l’emergenza, lo esigono. Il diritto è debole di fronte alla forza naturale della necessità. Ma chi decide quando si è in presenza o meno di una situazione di “emergenza”? Chi decide cosa è necessario e cosa non lo è? I virologi? Sono i medici che decidono quando i nostri diritti possono o devono essere sospesi? O è il governo? Ma, anche in tal caso, occorre chiedersi: cosa significa verificare se una tale sospensione dei diritti sia realmente giustificata dall’esistenza di una “emergenza”, sia proporzionata all’esistenza di quella “necessità”? A chi spetta dire se questa “emergenza” sia tale da giustificare decisioni estreme? Ridotto all’osso: emergenza reale o costruzione di uno stato di emergenza? I morti. Ci sono i morti. E sono reali. Li contiamo tutte le sere. Quanti siano i deceduti solo a causa del virus questo però nessuno lo dice. Che ogni anno circa 8000 persone muoiano per l’influenza stagionale anche su questo è meglio sorvolare. Ma, lo ammetto, sono considerazioni non decisive.

Le questioni aperte dalle ultime decisioni del governo sono da sempre discusse nella dottrina, perché valgono fin dalle vecchie proclamazioni dello “stato d’assedio”, della martial law, tipiche dei casi di guerra. Ma ciò che c’è di nuovo, oggi, è il modo in cui hanno reagito, in fondo, le istituzioni e i cittadini in Italia. Privo di anticorpi il popolo si affida ciecamente ad un governo che alimentando uno stato di panico collettivo fa crescere il bisogno di sicurezza e si presenta come l’unico in grado di soddisfarlo con misure via via sempre più restrittive. E il popolo alla fine accetta tutto. Nessuna opposizione politica, anzi l’opposizione reclama addirittura più durezza, alza continuamente l’asticella senza presentare una propria proposta alternativa alla gestione del virus, chiede in sostanza il lockdown, “chiudiamo tutto”, ma proprio tutto. Il governo coglie subito la palla al balzo e lo fa, un po’ all’acqua di rose ma lo fa. Nessuna protesta, nessuno che faccia notare come un problema serio di politica ospedaliera – che dipende dalle politiche dell’austerità che hanno inciso sulla spesa sanitaria – possa portare, nel giro di poche ore, a sospendere quei diritti fondamentali che, fino a ieri, erano considerati intangibili, sacri, impossibili da toccare. Possibile?

Ecco la tenuta della nostra gloriosa democrazia: sono bastati 8.000 contagi (per la spagnola, in Italia, furono 5 milioni i contagiati), gli opinionisti invitati nel salotto di Barbara d’Urso, o a seconda dei gusti, di Lilli Gruber – Vespa non lo lasciano più vedere perché troppo equilibrato -, la paranoia per la propria pelle alimentata in modo ossessivo dai media, a convincere gli italiani a buttare nel cesso, in un pomeriggio, tutti quei loro “diritti fondamentali” che costituzionalisti, politici ed intellettuali radical chic hanno per anni guardato tronfi di orgoglio – bisognava estenderli, anzi, a tutti quanti: che magnifiche sorti, e progressive!

Non solo: dopo i bollettini di guerra della protezione civile, dopo le apparizioni ben calibrate di Conte in televisione, per giungere passo dopo passo alla chiusura di tutto il paese, non un solo costituzionalista, non un solo politico della “sinistra dei diritti”, non un solo intellettuale, che abbia sollevato qualche dubbio. Fatto sta che da qualche giorno in tutto il paese non abbiamo più il diritto di circolare liberamente, di liberamente riunirci, di andare a scuola o all’università, di partecipare a funzioni religiose, di muoverci dal nostro Comune di residenza e anche lì solo con sistemi da coprifuoco, con tanto di autocertificazione che ciascun cittadino deve, su richiesta, mostrare alle forze dell’ordine. Per non parlare di profili etici e bioetici connessi alla libertà personale, come la riservatezza sui dati clinici. E la privacy? Non è il momento di certe “fisime” twitta il virologo ossessionato che vive in tv. E nessuno, in definitiva, ci trova niente di male. Neppure un Gustavo Zagrebelsky. E già, diamine Salvini è all’opposizione, almeno queste cose le avesse fatte lui, allora sì che sarebbe scoppiato il finimondo.

La sicurezza diventa il centro propulsivo dell’attività di governo e la libertà viene meno di fronte alle situazioni di pericolo. E poiché “viviamo pericolosamente“ il controllo sarà sempre più invasivo, totale. Dalla chiusura delle scuole alla chiusura di negozi e locali. Persino il parlamento semichiuso, vinta finalmente la concorrenza con la “piattaforma Rousseau”: avremo un parlamento dell’emergenza con voto digitale, senza discussione, proprio come su “Rousseau”. Tabaccherie aperte invece, un po’ di droga va concessa al popolo per evitare pericolose crisi di astinenza. Anche le fabbriche aperte, a meno che i lavoratori decidano di giocarsi le ferie estive. “Restate a casa!”, ma non se lavorate alla catena di montaggio. Borse invece sicuramente aperte: la speculazione finanziaria è una malattia autoimmune.

Ora che succederà? Tempo una settimana, avremo l’esercito a distribuirci i viveri nelle nostre casa, in cui saremo stati costretti a rintanarci? I panzer per le strade per difenderci dal nemico invisibile? Il Ministro dell’interno non lo esclude. Non è uno scherzo. Tutto ormai è possibile per garantire la nostra sicurezza. Tra poche settimane, per decreto, potremo di nuovo riabbracciarci felici e contenti? Ma sì, vedrete che andrà a finire come in Cecità. E diciamolo pure, non sarà che in fondo siamo felici di questa “servitù volontaria” perché tutto questo ci dà sicurezza, la sicurezza di stare per qualche settimana sul divano di casa, e forse è questo il diritto che abbiamo sempre sognato di avere, di ricevere dai nostri governanti (altro che partecipazione, impegno!, ecc. ecc.)? Conte è il primo Presidente del Consiglio della storia di questo Paese ad avere dato agli italiani ciò che hanno sempre inconsciamente desiderato? E cosa? Una “dittatura” senza mobilitazione di massa (perché, del fascismo, ciò che proprio non si sopportava erano le domeniche in piazza, gli esercizi ginnici, le sfilate), una “dittatura” soft che ti autorizzi a startene comodamente sul divano di casa, a guardare la televisione tutto il giorno, alimentando il proprio terrore ascoltando gli esperti che discutono i dati dell’ultimo bollettino di guerra. Nel 2011 con la formazione del governo Monti avevamo già fatto un primo esperimento in questo senso, ma allora i numeri erano quelli dello spread e si poteva ancora uscire di casa, oggi il numero è dei morti del virus e non si può più uscire di casa. Dell’aumento dei suicidi durante il governo Monti nessuno parla.

Non appena la situazione migliorerà Conte, il nostro venerato Xi Jinping, si prenderà ovviamente tutti i meriti per i suoi provvedimenti eccezionali che hanno salvato il paese e il suo governo potrà tirare a campare a lungo. Non conta se abbia agito “rispettando le regole” perché siamo in stato di eccezione e nell’eccezione conta solo il successo o il fallimento. E il successo contro il virus è garantito. Ci saranno certo problemi economici, ma sarà sufficiente che Conte in autunno chiami Draghi al suo fianco e il gioco è fatto. Poi, tra qualche anno, il nostro salvatore verrà nominato Presidente della Repubblica.

E intanto? Intanto si potrà passare da una emergenza all’altra, da quella sanitaria a quella economica, e così l’eccezione che genera eccezione diventa la regola, l’emergenza che genera nuove emergenze produce normalità. Per poco. Finito questo ciclo ricomincerà l’emergenza emigrazione. E poi? Poi il crollo di un ponte o della borsa. E poi? Poi una alluvione o un terremoto. E poi? Poi il terrorismo. E poi? Poi si ricomincia tutto da capo, senza fine. Una qualunque emergenza ci sarà sempre e se non ci sarà bisognerà inventarla.

Niente però sarà come prima. Resterà l’idea che in Italia da un giorno all’altro si può sospendere qualsiasi diritto: è sufficiente gettare nel panico una intera popolazione per controllarla come si vuole. Se i nostri diritti fondamentali sono limitabili in massimo grado con il consenso di tutti per un problema di sanità pubblica, perché questo non dovrebbe valere anche in altri casi? Abbiamo chiuso un intero paese in casa, ma abbiamo al contempo anche aperto una porta sul vuoto. Diventeremo immuni al virus, ma abbiamo infettato la nostra democrazia.                                                                                                         di Paolo Becchi su Libero