Destra e sinistra. Una riflessione

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Si continua a parlare di destra, di sinistra, addirittura di estrema destra, mentre dell’estrema sinistra non parla più nessuno, perché è utile che di estrema ci sia oggi solo la destra violenta, xenofoba, razzista e antisemita. Ma – mi chiedo – ha ancora un senso utilizzare questo criterio per distinguere le forze politiche? Certo, ci sono anche le forze di centro, quelle che non sono né carne né pesce, ma le lascio qui da parte. D’altronde, almeno da noi, si parla di centro destra e di centro sinistra.

Nel linguaggio comune queste distinzioni sono ancora di una qualche utilità, quando servono a caratterizzare – o a screditare – questa o quella posizione politica. Del resto ci sono forze politiche che ci tengono a ribadire di essere di destra, altre che con la stessa forza rivendicano di essere di sinistra, e altre ancora “postideologiche” che non si definiscono né di destra né di sinistra, ma che vengono catalogate in questo modo, qualche volta di sinistra e qualche altra volta di destra. Insomma, non se ne esce: i “no global” sono di sinistra, i “sovranisti” di destra, anche se paradossalmente entrambi, almeno prima facie, sembrino volere la stessa cosa.

Ecco, la parola chiave è globalismo. A questo fenomeno, che possiamo fare risalire agli anni Novanta del secolo scorso, è strettamente connesso l’affermazione del paradigma neoliberale. Questo paradigma, che va distinto da quello del liberalismo classico, è fondato essenzialmente sull’antistatalismo e sulla venerazione del mercato, in breve “meno stato più mercato”. A ben vedere è proprio questo nuovo paradigma neoliberale che ha fatto venir meno la tradizionale distinzione tra destra e sinistra, molto semplicemente perché la sinistra ha rinunciato al suo patrimonio ideologico, accettando tout-court quello neoliberale. E la destra, in fondo, ha fatto altrettanto.

La sinistra ha abbandonato la lotta di classe, la difesa della classe operaia oppressa dal modo di produzione capitalistico e la destra la battaglia per la difesa della comunità e della tradizione: entrambe in fondo hanno accettato la cultura dell’individualismo libertario (non nel senso del pensiero anarchico, ma semmai in senso nichilistico) sciolto da legami sociali e comunitari. A destra non si discute la competizione sul mercato globale e a sinistra si insiste sulla emancipazione non dei lavoratori ma dalle radici. A destra la competizione tra gli individui, a sinistra la droga libera per tutti. L’unica libertà che conta per tutti è quella delle merci, dei capitali e degli individui. Destra e sinistra, insomma, nuotano ormai nello stesso brodo culturale.

Beninteso, esistono anche una destra e una sinistra che non accettano questa deriva ma si identificano con due fenomeni ideologici ormai obsoleti connessi a due concrete esperienze storiche: il fascismo e il comunismo. E così, finito il fascismo e mezzo secolo dopo circa anche il comunismo, questa destra e questa sinistra hanno perso senso e hanno solo un significato nostalgico. Destra e sinistra, quelle che oggi contano, non sono altro che due facce della stessa medaglia: il neo liberalismo funzionale al globalismo, al mondialismo, al cosmopolitismo.

Ma se dunque destra e sinistra nel loro significato ideologico “forte” non esistono più, qual è allora la distinzione politica oggi decisiva per chiarire, usando una celebre categoria schmittiana, la distinzione politica “tra amico e nemico”?

Da una parte c’è la concezione neoliberale, non nella fase del suo trionfo ma in quella della sua crisi, una ideologia che continua ad essere dominante, pervasiva, anche attraverso nuove forme, cioè insistendo, ad esempio, sulla difesa dei diritti umani e, in forma più radicale, su un atteggiamento individualistico-libertario. E dall’altra parte?

D’altra parte si potrebbe recuperare una serie di idee e di valori che sono di destra e di sinistra. Insomma, quello che sto proponendo è di utilizzare nell’ambito di una posizione critica nei confronti del globalismo idee e valori che di solito si presentano come tra loro contrapposti e che forse non lo sono necessariamente. Perché non potrebbero coesistere idee come quella di comunità, appartenenza, identità, lealtà, senso dello Stato, con altre idee che riguardano la giustizia sociale, la solidarietà e la redistribuzione?

Certo, con “destra e sinistra” tutto è molto più facile, ma forse anche semplicistico. Questa distinzione ci aiuta poco a comprendere la realtà politica del nostro tempo e la distinzione politica che è fondamentale oggi, quella tra coloro che difendono il globalismo, l’universalismo astratto e coloro che lo criticano in nome delle particolarità concrete.

Postilla ad uso interno

Nella versione originaria di Gianroberto Casaleggio il M5S avrebbe dovuto essere post ideologico, oltre la destra e la sinistra. Si veda anche il mio libro Figli delle stelle pubblicato non a caso da Casaleggio. Poi questa idea è diventata una scatola vuota, che significava soltanto possiamo andare a destra o a sinistra, una scatola riempita solo con l’antipolitica del numero dei parlamentari ridotti. La casta, di cui peraltro ora proprio il M5S è diventato il più accanito sostenitore. Una fine peggiore non poteva esserci per un MoVimento che ha fatto sperare milioni di italiani.
Ora Salvini deve stare attento a non fare la stessa fine, a farsi ingabbiare nella destra. Meloni rivendica la sua appartenenza ideologica alla destra, affari suoi. Ma la Lega può raccogliere il testimone dal M5S e diventare quel Partito postideologico oltre destra e sinistra, come ho cercato di delineare nel pezzo pubblicato.                                                                                                                                                     di Paolo Becchi