Di Maio affossa Atlantia e Alitalia in un colpo solo

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Come può un vicepremier di un governo attaccare a Borse aperte una società quotata senza considerare minimamente le conseguenze per investitori e lavoratori? Eppure accade anche questo nel nostro Paese. Di Maio si è scagliato contro Atlantia, dicendo che è “decotta”, che ha responsabilità nel crollo del ponte Morandi e ha ribadito il suo no alla possibilità della holding della famiglia Benetton di entrare in Alitalia (una conseguenza di cui il grillino dovrebbe tener conto in quanto titolare dello Sviluppo economico).

Secondo Di Maio, Atlantia farà perdere valore anche agli aerei perché quando le verranno revocate le concessioni autostradali perderà valore in borsa: “Atlantia è decotta”.

Ma che senso hanno dichiarazioni del genere? Atlantia è una holding globale con centinaia di investitori istituzionali nel capitale, con aeroporti in Italia e all’estero, che possiede autostrade come Abertis in Spagna, oltre alla concessione di quelle italiane. Altro che decotta. Chi non versa in condizioni ottimali è Alitalia, con 11mila dipendenti in bilico che piuttosto il ministro dello Sviluppo economico (e del lavoro) dovrebbe tutelare.

Quello di Di Maio è un attacco senza precedenti, su cui la Consob non a caso ha deciso di accendere un faro visto che la società è quotata a Piazza affari. Già negli ultimi giorni, infatti, la minaccia grillina aveva provocato un tracollo dell”8%, facendo bruciare alla holding circa 800 milioni di euro. E ieri è arrivata la bordata a mercati aperti.

Ma al di là delle ipotetiche responsabilità legali come l’aggiotaggio da parte del ministro M5s, la vicenda assume contorni politici forti e provoca l’ennesimo scontro all’interno del governo. La Lega di Salvini e Giorgetti si è più volte opposta all’eventuale revoca della concessione autostradale, anche per il rischio, è bene ricordarlo, dei 20 miliardi di indennizzo che lo Stato dovrebbe pagare alla famiglia Benetton. E sempre il Carroccio ha spinto per un coinvolgimento di Atlantia su Alitalia, una strada che ora Di Maio vorrebbe affossare.

Da una parte c’è dunque il danno per Atlantia, per le centinaia di investitori istituzionali e piccoli soci (non solo la famiglia Benetton come tende a fare credere Di Maio). Dall’altra parte ci sono le ricadute negative sulla cordata per Alitalia del socio americano Delta, che ha fatto capire in più occasioni di preferire una cordata con soci credibili, come lo è Atlantia. Va sottolineato inoltre come tra Atlantia e Alitalia ci siano in ballo circa 25mila dipendenti e in questo senso non si comprende come il ministro dello Sviluppo economico intenda tutelare quei lavoratori.

Non solo Alitalia e Atlantia. Il punto è che i faldoni sul tavolo di via Veneto, in uno degli uffici di Di Maio, sono davvero tanti (quasi 158), si parla di circa 300mila dipendenti coinvolti (di cui quasi 80mila solo nel Mezzogiorno). Le poche risorse impiegate sulla politica industriale cominciano a farsi sentire, tanto che il responsabile economico Pd Antonio Misiani ha chiesto oggi al governo di “spiegare in Parlamento come intende affrontare le crisi in atto e scongiurarne di nuove”. Commentando le vicende di questi ultimi giorni relative a Ilva, Atlantia e Alitalia, Misiani sottolinea come il governo stia giocando sulla pelle dei lavoratori: “Tifare per il fallimento di aziende è davvero ignobile, a maggior ragione con 158 crisi industriali aperte e 300 mila posti di lavoro a rischio. Noi continueremo a difendere gli italiani da questo Governo sempre più nemico dei lavoratori.

Intanto Atlantia replica con durezza alle bordate del leader grillino: “Le dichiarazioni del vice presidente Di Maio turbano l’andamento del titolo Atlantia in Borsa, anticipando la presunta conclusione di un procedimento amministrativo sulla concessione che il ministro Toninelli ha affermato di essere ancora in corso, e determinano gravi danni reputazionali. Atlantia – sottolinea infine la nota – si riserva di attivare ogni azione e iniziativa legale a tutela dei propri interessi, dei dipendenti, degli azionisti, dei bondholders e degli stakeholders”.                                                                                                                                                    di stefano minnucci