Dia: la criminalità lucana collegata a quella delle regioni limitrofe

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Il recente sviluppo del settore turistico e di quello estrattivo, nonché dell’intera filiera agroalimentare, può rappresentare un interesse da parte della criminalità autoctona ma anche delle mafie extraregionali.
Gli scenari criminali – si legge nella relazione della DDA relativa al primo semestre 2019 – restano, quindi, particolarmente complessi, anche per le cointeressenze tra gruppi di diversa origine geografica, compresa quella straniera.
Rileva, in tale quadro, la questione delle “giovani leve” emergenti che trovano il modo di ritagliarsi autonomi spazi di operatività in territori nei quali convivono con storici gruppi criminali.
D’altro canto, l’omicidio di Antonio Grieco avvenuto a Montescaglioso (MT) il 27 maggio 2019, sembrerebbe indicativo di come questi ultimi siano strategicamente intenzionati a ripristinare i tradizionali assetti della criminalità e ad arginare l’ambizione dei più giovani criminali, specie nella gestione del mercato degli stupefacenti.

Per quanto attiene al settore degli stupefacenti, la Basilicata, oltre a costituire terra di transito per i traffici delle cosche calabresi889 e pugliesi, si conferma un’importante piazza di spaccio.
La Relazione Annuale della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, relativa al 2018, rileva un aumento dei sequestri di droga operati nella Regione anche a carico di soggetti incensurati e di cittadini extracomunitari, indice di una espansione del consumo delle droghe anche tra i più giovani.
Altri ambiti nei quali resta alta l’attenzione per le costanti violazioni amministrative e penali riscontrate dalle Forze di Polizia, attengono alla gestione del ciclo dei rifiuti, ai reati di natura ambientale, all’illecita raccolta di scommesse su eventi sportivi e al gioco d’azzardo, alla sicurezza alimentare e nei luoghi di lavoro e al “lavoro nero”.
Si segnalano, infine, diversi sequestri, spesso a carico di cittadini stranieri (cinesi e del Bangladesh) di capi contraffatti, nonché di articoli di bigiotteria, elettronici, casalinghi, prodotti in violazione delle norme in materia di sicurezza.

Provincia di Potenza
Gli esiti delle attività info-investigative svolte nel semestre nella provincia di Potenza non forniscono segnali di particolari cambiamenti negli assetti delle consorterie potentine, che appaiono sostanzialmente immutati rispetto a quanto registrato in precedenza.
Continuano, tuttavia, a registrarsi tentativi delle “nuove leve” di affermarsi nei contesti criminali locali.
In tutta la provincia, l’attività illecita prevalente resta quella connessa allo spaccio di sostanze stupefacenti, su cui incide la vicinanza con le organizzazioni criminali calabresi, campane e pugliesi895 e con le quali la criminalità locale mantiene rapporti costanti.
Potrebbe essere indicativo di questa osmosi criminale anche l’arresto, eseguito a Potenza, il 5 maggio 2019 di un boss napoletano, appartenente al clan camorristico FORMICOLA.
A livello locale, nel commercio della droga, specie nel capoluogo, risultano spesso coinvolti anche cittadini extracomunitari, soprattutto di nazionalità nigeriana e gambiana.
Il fenomeno, già emerso lo scorso semestre con l’operazione “Level” del 27 novembre 2018, ha trovato ulteriore e più recente riscontro nell’inchiesta deno-minata “CAS”. Il nome dell’indagine, eseguita dalla Polizia di Stato l’11 gennaio 2019, deriva dall’acronimo di “Case Accoglienza Stranieri”, con riferimento agli appartamenti, adibiti a strutture d’accoglienza, utilizzati dagli indagati per confezionare e nascondere la droga.
Per quanto attiene alle estorsioni, invece, sembrerebbe che elementi appartenenti alle diverse consorterie in qualche caso decidano di cooperare al fine di sottoporre al racket le attività economiche, commerciali e imprenditoriali presenti sul territorio.
Uno dei settori preferiti resta quello agroalimentare, ove si riscontrano costanti furti di mezzi agricoli (ma anche di attrezzature per il movimento terra e di macchine industriali). Mezzi spesso utilizzati per praticare le tecniche estorsive note come “cavallo di ritorno”. E possono essere ricondotti a forme di estorsione anche gli episodi di danneggiamento a seguito di incendio e di intimidazioni denunciati in provincia.
Tra le attività di contrasto poste in essere per arginare i reati predatori vale la pena di richiamare la misura cautelare, eseguita dai Carabinieri il 4 febbraio 2019 a Melfi, nei confronti di 3 indagati ritenuti responsabili, in concorso tra loro e con un quarto soggetto (arrestato in flagranza di reato), della rapina consumata il 27 gennaio 2018 ai danni di un esercizio commerciale.
Un salto di qualità da parte della criminalità locale è stato messo in evidenza dall’operazione “Replay”, che ha fatto emergere dei casi di infiltrazione della Pubblica Amministrazione, nonché reati in materia elettorale e contro il patrimonio.
L’inchiesta era stata avviata, nel gennaio 2017, a seguito della denuncia presentata dall’ammini-stratore di un’impresa edile, il quale aveva contestato una serie di anomalie in una gara, indetta dal Comune di Melfi (PZ), di affidamento dei lavori di manutenzione ed adeguamento di alcune strade urbane. Per tale ragione, il denunciante era divenuto vittima, di un funzionario pubblico, di una serie di minacce ed intimidazioni fina-lizzate a farlo desistere da ulteriori iniziative giudiziarie.
Gli accertamenti hanno poi in effetti chiarito come dietro l’affidamento di diversi lavori pubblici si celassero ipotesi di corruzione elettorale, che avrebbero visti coinvolti anche altri Amministratori Pubblici.

Provincia di Matera
In provincia di Matera continuano ad operare gli storici clan SCARCIA e MITIDIERI-LOPATRIELLO, in “forzata convivenza” con reduci del clan SCHETTINO (ex SCHETTINO-PUCE-LO FRANCO), cui si aggiungono il gruppo RUSSO(ex RUSSO-VENA) ed altre aggregazioni minori (come il gruppo DONADIO), comunque contigui ai predetti più autorevoli clan. Nel semestre in esame un grave fatto di sangue è risultato indicativo di un certo fermento che serpeggia tra le locali consorterie.
Il 28 maggio 2019, la Polizia di Stato, coadiuvata dai Vigili del Fuoco, ha recuperato in un dirupo nelle campagne di Montescaglioso (MT) il cadavere di un pregiudicato, ucciso con un colpo di pistola alla nuca.
La vittima è stata immediatamente identificata in un soggetto ben inserito nei contesti criminali locali e punto di riferimento per le nuove leve criminali, in particolare per quanto attiene ai traffici di stupefacenti.
Alla ricostruzione dell’evento ha contribuito un soggetto vicino alla vittima che, presente all’agguato e scampato miracolosamente ai colpi d’arma da fuoco, si è spontaneamente presentato alle Forze di Polizia, temendo per la propria incolumità.
Le indagini, esperite anche sulla base delle dichiarazioni di quest’ultimo, hanno portato, il successivo 29 maggio 2019, al fermo di indiziato di delitto, eseguito a Rionero in Vulture (PZ), di un pluripregiudicato, noto esponente del clan ZITO-D’ELIA, ritornato da circa un anno in libertà dopo un periodo di detenzione.
I riscontri investigativi hanno portato all’individuazione degli altri due componenti del gruppo che avevano pianificato e realizzato l’agguato, attirando la vittima nel bosco, dove è stata poi ritrovata cadavere, con il pretesto di definire una compravendita di armi.
Gli esiti dell’indagine sembrano confermare come il movente del delitto sia da connettere all’esigenza di arginare l’ambizione del pregiudicato ucciso, intenzionato ad assumere il controllo delle attività illecite sul territorio, prima fra tutte, come accennato, quella connessa allo spaccio di droga.
La dinamicità dei clan ed il pericolo che, per riciclare i proventi derivanti dalle attività illecite, i gruppi criminali, mediante società di comodo, stiano tentando di infiltrarsi nell’economia legale o addirittura di acquisire il controllo di alcuni settori economici, ha trovato conferma negli esiti dell’inchiesta “Centouno”.
L’indagine è stata conclusa dai Carabinieri, il 4 febbraio 2019, con l’arresto di 21 soggetti ritenuti responsabili di aver fatto parte, a vario titolo, di una associazione di tipo mafioso, rappresentata dal clan SCHETTINO, con base a Scanzano Jonico (MT) e dedita principalmente alle estorsioni in danno di imprenditori del Metapontino e allo spaccio di stupefa-centi.
Le investigazioni, coordinate dalla DDA di Potenza, rappresentano il prosieguo dell’operazione “Vladi-mir”, che aveva già portato, il 4 ottobre 2018, all’esecuzione di altre 25 misure cautelari nei confronti degli appartenenti a ben tre gruppi criminali, tutti operanti in Basilicata e attivi lungo la fascia costiera compresa tra Metaponto e Nova Siri.
Il provvedimento di febbraio ricostruisce, in particolare, la progressiva crescita criminale del clan SCHETTINO, che utilizza “metodi e strutture organizzative presumibilmente riprodotte da quelle dei gruppi calabresi della ‘ndrangheta” e che può contare su una grande disponibilità di armi e di risorse economiche.
Un clan che ha manifestato una forte attitudine a reinvestire i proventi illeciti in attività economiche gestite anche indirettamente, e a controllare il territorio con atti di forza, anche eclatanti, manifestando, peraltro, attraverso i socialnetwork la propria forza e coesione.
La particolare capacità d’intimidazione del sodalizio ha trovato conferma anche nelle minacce rivolte ad un giornalista che si era occupato del progressivo espandersi dell’organiz-zazione mafiosa sul territorio.
L’inchiesta ha, infine, ricostruito le fasi di diverse contese insorte fra il gruppo degli SCHETTINO ed altre organizzazioni criminali operanti sullo stesso territorio, sfociate in tentati omicidi, aggressioni e sparatorie.
Tra i destinatari del provvedimento figura anche il capo della cosca, nei cui confronti, il 5 aprile 2019, la Guardia di finanza ha eseguito il sequestro di numerosi fabbricati, attività economiche, terreni, autovetture, motocicli e rapporti bancari/postali, per un valore complessivo di circa1,5 milioni di euro.

La pressione criminale si è manifestata insistentemente nel capoluogo e lungo la costa jonica, nonché la recrudescenza delle condotte di intimidazione e minaccia, anche nei confronti di Amministratori Pubblici, che hanno sollecitato l’attenzione da parte delle Autorità locali.
A tali contesti sono, infatti, riferibili le ragioni che, il 22 febbraio 2019, hanno determinato il Prefetto di Matera a disporre, ai sensi dell’art. 143 del Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, l’accesso presso il Comune di Scanzano Jonico (MT) per verificare gli eventuali tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nell’attività amministrativa.
Inoltre, nel semestre in esame, ha suscitano una particolare preoccupazione, l’inconsueto numero di furti di armi, tentati e consumati, presso diversi Comandi di Polizia Municipale della provincia di Matera.
Sempre in materia di armi, al termine di un’indagine condotta a Potenza, è stata disposta con decreto del Questore, la chiusura di un’armeria e sono stati denunciati, oltre al titolare, altri 31 soggetti, residenti nella provincia in esame ed in quella di Salerno.
Nella provincia di Matera, sebbene in calo rispetto al passato, permane il fenomeno dei furti di rame, che hanno provocato dei blocchi della produzione e delle comunicazioni. Un altro settore dell’illecito, verso il quale a livello locale è costante l’attenzione delle Forze di Polizia, attiene allo sfruttamento del “lavoro nero” ed al connesso fenomeno del “caporalato”.
Il 16 gennaio 2019, nell’ambito dell’inchiesta denominata “Libertade”, sono state eseguite misure cautelari nei confronti di 16 indagati, romeni ed italiani, ritenuti componenti di un’associazione per delinquere dedita all’intermediazione ed allo sfruttamento illecito del lavoro, con carattere della transnazionalità, nelle province di Matera e Taranto, nonché dei reati di minaccia, estorsione e uso indebito di carte di credito.
L’inchiesta, avviata nella primavera del 2018 a seguito della denuncia sporta da un lavoratore romeno, ha riguardato una serie di casi di sfruttamento del lavoro registrati in centri agricoli della fascia Jonico-Metapontina (Policoro, Scanzano Jonico, Tursi e Marconia di Pisticci) e nella limitrofa provincia di Taranto (Castellaneta, Laterza e Ginosa).
In particolare, promotori, organizzatori e caporali erano romeni che reclutavano in Romania propri connazionali, impiegati poi in Italia, come braccianti agricoli, in estenuanti e degradate condizioni di lavoro. A seguito dell’indagine, il 19 giugno 2019, nei confronti di quattro imprenditori agricoli di Scanzano Jonico e Tursi, è stato operato il sequestro di beni per un valore complessivo di circa 7 milioni di euro.