La legge 94 del 2009 ha introdotto in Italia il reato d’immigrazione clandestina (oggi reato “d’ingresso illegale”) nell’ordinamento italiano.
Secondo l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi e l’allora Ministro degli Interni Maroni, ipotizzavano che questo nuovo reato avrebbe limitato lo sbarco di migranti, comportando una riduzione che era stata addirittura quantificata con una precisa percentuale: il 10%.
Si trattava di ipotesi prive di qualsiasi fondamento; solo propaganda. Si tenga presente che l’illecito, benché di natura penale, non prevedeva l’arresto, misura ammessa solo per i reati molto gravi, e per evitare, il pericolo di fuga, la reiterazione del reato, l’inquinamento delle prove.
Il reato di immigrazione clandestina, invece, ha natura contravvenzionale, e punisce l’ingresso e/o il soggiorno illegale nel territorio dello Stato con un’ammenda da 5 a 10mila euro.
Di conseguenza, lo straniero che entra o soggiorna illegalmente in Italia viene denunciato a piede libero e nell’intervallo di tempo che intercorre fra l’avvio dell’iter giudiziario e la sua conclusione, può andare dove vuole.
Una legge inapplicabile, dunque, che ha ingolfato i tribunali costretti ad esaminare decine di migliaia di casi, e che, come fatto rilevare dall’allora Procuratore antimafia Franco Roberti nel 2016, si è trasformata essa stessa in un ostacolo per le indagini sui trafficanti di esseri umani.
Si tratta, quindi, come detto, di una legge di pura propaganda, che, però, s’inserisce senza soluzione di continuità nel filone concettuale della politica dell’immigrazione quale emergenza da affrontare in modo meramente securitario. Una modalità non solo ingiusta ma anche inefficace, che deve essere rivista, partendo dalla radicale revisione/cancellazione di quel “sacro totem” che è la Legge Turco-Napolitano del 1998, vera matrice dell’approccio securitario ed emergenziale che le successive leggi – dalla Bossi Fini ai decreti Salvini – hanno sicuramente peggiorato nelle modalità, ribadendone gli scopi.
Quindi, il reato d’immigrazione clandestina non impedisce l’ingresso nel territorio della Repubblica, mentre consegna i migranti alla clandestinità e, quindi, ai trafficanti prima
e alla criminalità organizzata poi, proprio per le condizioni di marginalità e clandestinità che essa induce.
Sia chiaro: abolire il reato non corrisponde ad aprire le porte del Paese, bensì significa togliere il velo d’ipocrisia che nasconde chi specula. Colui il quale entrasse senza o rimanesse in Italia senza permesso, dovrebbe comunque essere oggetto di un ordine di
espulsione, e qualora non lo ottemperasse commetterebbe comunque il reato di inottemperanza all’ordine legittimo.
Si può dire che la cancellazione di questa odiosa ed inutile fattispecie di reato avrebbe ulteriori conseguenze importanti, poiché cancellare la stessa parola “clandestino”, non solo diminuirebbe enormemente i guadagni dei trafficanti e della malavita, ma avrebbe anche l’effetto di eliminare uno stigma che disumanizza coloro che ne vengono colpiti.
“Clandestino”, infatti, segna come “criminale” una persona alla quale viene negato il diritto ad essere considerato essere umano, ovvero persona con un passato di vita, trasformandola in mera unità di conto statistica. E di una unità di conto non si piange
la morte!
In conclusione, il testo del Disegno di Legge che ho presentato si compone di un solo articolo volto ad abrogare l’articolo 10 bis del Testo unico sull’immigrazione come introdotto dalla legge 94 del 2009.
Gregorio de Falco


