Don Dario Borello

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Per alcuni anni ho abitato a Bra in vi­colo Sant’Antonino di fronte all’ingresso della parrocchia. Bra è la città dove ho insegnato vent’an­ni consecutivi prima di approdare all’Ac­cademia di Belle Arti. Sono stato docente alla Scuola Media “Craveri”, dove fui accolto con affetto dal professor Edoardo Mosca, preside dell’istituto. Mosca era una persona di grande cultura ed elegan­za. Sapeva dirigere la Scuola con saggezza meritandosi la stima di tutti i suoi profes­sori. Di fronte all’ingresso del mio gara­ge braidese c’è quello della canonica di Sant’Antonino. Qui regnavano don Da­rio Borello e soprattutto la sua dinamica perpetua Anna che aveva per il reverendo un’autentica adorazione. Il vicario, come tutti lo chiamavamo, era un sant’uomo. Si diceva che da giovane fosse stato un pro­fessore molto stimato e che, non si sa per quali ragioni, fosse poi finito a Bra. Lo conobbi un giorno mentre parcheg­giavo la macchina e subito mi invitò a prendere il caffè. Aveva dei modi garbatissimi e una cul­tura invidiabile. Conversavamo spesso
con reciproca soddisfazione. Alla sera rientravo verso le ventitré e come per magia si apriva il portone per un veloce saluto. Sapeva tutto di me e si informava sul mio lavoro. Un giorno lesse sul “Braide­se” un articolo di Piero Fraire sulle mie ambizioni. Era un pezzo ironico. A Frai­re piaceva molto mettere in risalto le mie presunte qualità, in particolare la vanità, con uno stile però sempre affettuoso. Don Dario si arrabbiò molto e scrisse immedia­tamente una lettera al giornale elogiando la mia umiltà ed il mio stile di vita, a suo dire, fin troppo sobrio. Spiegai al Vicario che Fraire era un caro amico e che i suoi articoli erano da me molto apprezzati.
Tutto si risolse in una cena a tre, in gran­de allegria. Una notte d’inverno, di ritorno da Francoforte, rientrai alle quattro. Il por­tone della parrocchia non si aprì. Mentre stavo per infilarmi in casa, una finestra al primo piano della canonica si illuminò. Era don Dario. Incurante dell’ora e del freddo mi augurava la buo­na notte invitandomi l’indomani mattina a prendere il caffè.