Dopo vent’anni è sembrato un segno del destino

0
92

tratto da “L’ultima fila in alto”

Il libro autobiografico “L’ultima fila in alto”, in uscita prossimamente, il cui autore è Gianluca Bordiga, è una narrazione di decine di fatti dalle forti emozioni, opposte, accaduti alla sua famiglia d’origine e a lui stesso, nell’arco temporale di novantacinque anni. Sono diversi episodi, della vita privata, e dell’impegno pubblico in difesa del territorio. Dopo il dramma della violenta scomparsa del fratello dell’autore, accaduto nel giugno dell’80, all’inizio anno dell’81 come ogni anno arrivano quelle che qui nel Comune di Bagolino vengono chiamate la Santissime feste di Carnevale. A Bagolino e alla frazione Ponte Caffaro è un rito sacro, una tradizione antica e più viva che mai, si tramanda da cinquecento anni. La si vive spontaneamente in ogni famiglia. E anche nella casa di Gianluca la tradizione è sempre stata vissuta bene, osservandone e valorizzandone i riti ed il rispetto degli stessi, che hanno dei giorni precisi per essere vissuti. Il papà di Gianluca, Nato, col suo mestiere di Sarto ha sempre aiutato i bälärì a preparare i vestiti. Un tempo il vestito della festa era uno soltanto, e il bälärì usava per forza quello per fare il suo vestito, perché il bälärì doveva e deve essere elegantissimo, è la figura simbolo di questa tradizione, ed ha un alone di sacralità. La vestizione era ancora più complessa un tempo: i pantaloni, all’epoca, perché non c’erano soldi per averne un paio appositamente dedicato, venivano scuciti all’interno fino alle ginocchia, quindi la parte scucita veniva tirata su sotto fino al cavallo e fissata in alto, a quel punto mettevano gli ornamenti sull’esterno dei pantaloni, che erano diventati alla zuava. La giacca non aveva bisogno di essere scucita, ma si dovevano fissare sopra i gradi, le spalline e i cordoni bianchi. Poi, finito il Carnevale, che per i bälärì dura due giorni pieni, dal mattino molto presto fino alla sera molto tardi, la compagnia dei bälärì porta circa duecento balli ogni giorno in tutto il paese, il vestito un tempo veniva svestito dagli ornamenti e da tutto, e tornava un vestito normale per tutte le feste. Il papà dell’autore del libro ne ha fatti centinaia negli anni, di questi lavori. Inoltre ha fatto anche gli antichi abiti ceviöl, i più arcaici, che si usavano e si usano per andare in maschera. All’autore viene alla mente l’episodio nell’anno del dramma del fratello, Danilo, che sembra sia stato un segno del destino: Fiore, la mamma, dopo tanti anni che non lo faceva più, quell’anno era riuscita ad andare in maschera con le sue amiche. Da ragazza andava spesso in maschera e da buona bagòsa era anche brava. E quell’anno s’era creata la situazione favorevole, insieme a due sue amiche, per riuscire ad andarci di nuovo. Ma non aveva più gli abiti, i suoi, erano troppo sgualciti, ed erano piccoli. Così, con la complicità di Nato, suo marito e papà di Gianluca, era riuscita a persuaderlo a non andare in maschera l’ultimo giovedì sera, zöbiä grasa, per poterli usare lei, che gli andavano bene. Gianluca ricorda queste parole del papà che lo persuadeva a non andare in maschera quella sera, gli disse che ci sarebbe stata troppa gente ed era meglio se lui andava a farsi un giro senza il costume e la maschera. Così succede, Fiore riesce ad andare in maschera con le sue amiche, dopo oltre vent’anni dall’ultima volta, usando il ceviöl di Gianluca. Lui l’aveva saputo dopo qualche giorno, quando la mamma gli racconta. Ma quella sana tradizionale mascherata dopo tanti anni, sarà l’ultimo momento di felicità e svago di Fiore, la mamma, perché da lì a pochi mesi accadrà il fatto violento che cambierà tutto nella sua famiglia.

Aruspex