E’ possibile un mare senza più pesci?

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animali intrappolati nella plastica
animali intrappolati nella plastica

Un mare senza più pesci? Nella metro di Milano il messaggio d’allarme per la Giornata mondiale degli oceani

MILANO – Enormi manifesti che raffigurano un mare vuoto, privo di vita, senza alcun pesce che nuota, ricoprono la fermata della metro Cairoli di Milano, a due passi dal Castello Sforzesco. Le affissioni, realizzate dall’organizzazione Essere Animali per la Giornata mondiale degli oceani che si celebra l’8 giugno, sono un preoccupante grido d’allarme sull’estinzione di molte specie marine. “Se vogliamo salvare gli oceani dobbiamo proteggere i suoi abitanti, minacciati anche da pesca intensiva e allevamento. La soluzione c’è, con le nostre scelte alimentari possiamo evitare uno scenario tragico”, commenta Essere Animali.

Non solo plastica e inquinamento, a mettere in pericolo la maggior parte delle specie marine sarebbero la pesca industriale e l’acquacoltura, ovvero l’allevamento di pesci e altri animali acquatici, un settore che negli ultimi anni si è rapidamente espanso in tutto il mondo, per far fronte alla crescente domanda globale di pesce destinato al consumo umano.

Per questo, per la Giornata Mondiale degli Oceani, riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 2008 e celebrata l’8 giugno di ogni anno, giorno dell’Anniversario della Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo che si tenne a Rio de Janeiro nel 1992, l’organizzazione Essere Animali ha lanciato una campagna di affissioni che invita ad adottare scelte alimentari responsabili.

Le cause sono riconducibili a molteplici fattori, ma secondo diversi studi la pesca intensiva giocherebbe un ruolo principale. Uno studio diffuso su Nature, ‘Rapid worldwide depletion of predatory fish communities’, sostiene che la pesca intensiva abbia causato l’estinzione del 90% dei pesci predatori, mentre la pubblicazione ‘Global catches, exploitation rates, and rebuilding options for sharks’, diffusa sulla rivista Marine Policy, stima che uccida tuttora 30mila squali ogni ora. Inoltre, molte specie a rischio, come merluzzo, sardina, anguilla, acciuga, tonno rosso, pesce spada, razza e palombo, sono quelle comunemente consumate, anche in Italia.

Le reti e le lenze abbandonate nelle acque, oltre a essere una delle principali forma di inquinamento da plastica nei mari, costituendo secondo Greenpeace il 70% delle macroplastiche presenti, sono vere e proprie trappole che possono continuare a uccidere indiscriminatamente per decenni, soffocando innumerevoli pesci. Ogni anno negli oceani vengono perse o abbandonate oltre 640.000 tonnellate di reti e altri strumenti da pesca e, nello studio ‘Investigations into Cetacean Bycatch Reduction Measures of Countries Exporting Seafood to the US’, il WWF stima che queste possano essere responsabili della morte ogni anno di circa 300mila tra delfini, balene e focene.

Secondo i dati del rapporto FAO, Lo stato della pesca e dell’acquacoltura, nel 2018 la produzione ittica mondiale derivante dalla pesca intensiva ammonta a 96,4 milioni di tonnellate di animali acquatici, mentre quella proveniente dall’acquacoltura è pari a 82,1 milioni di tonnellate e, pur costituendo il 46% della produzione totale, rappresenta il 52% del pesce destinato al consumo umano diretto. Il settore sta conoscendo una crescita globale esponenziale, dal 1990 al 2018 gli allevamenti di pesci sono aumentati nel mondo del +527%.

Ma se la pesca intensiva sta svuotando i mari e gli oceani, l’acquacoltura non può di certo essere considerata un’alternativa sostenibile, in quanto contribuisce direttamente allo sfruttamento degli stock ittici. Infatti, le specie più comunemente consumate in Italia, come orate, branzini e salmone, provengono già principalmente dagli allevamenti e sono carnivore. Per alimentarle è necessario quindi utilizzare mangimi che contengono farina e olio di pesce, realizzati con i cosiddetti pesci ‘foraggio’, provenienti soprattutto dalla pesca intensiva.

Uno studio diffuso su Nature stima che sino all’80% degli antibiotici contenuti nei mangimi si disperda nel mare, esercitando una pressione selettiva sui batteri presenti e agevolando il fenomeno dell’antibiotico-resistenza, una seria minaccia per la salute pubblica. I pesci allevati possono inoltre fuggire dalle gabbie e una volta in mare aperto competere con le popolazioni libere per gli spazi e le risorse, causando inquinamento genetico e trasmettendo malattie, un rischio per la biodiversità acquatica.

“La pesca intensiva e l’acquacoltura costituiscono un circolo vizioso di sfruttamento delle risorse marine. Se non invertiamo la tendenza attraverso i nostri consumi, l’oceano diventerà un deserto d’acqua”, continua Pomo.

La campagna di affissioni è solo una delle iniziative lanciate dall’organizzazione Essere Animali in un’occasione della Giornata Mondiale degli Oceani. Attraverso il sito www.salviamoglioceani.it è possibile compilare un test per avere informazioni sulle conseguenze della pesca intensiva e degli allevamenti di pesci, oltre che consigli per le generazioni future su come salvaguardare la vita marina, attraverso le proprie scelte quotidiane.