E SALVINI ANDÒ ALLA GUERRA. MA L’ITALIA DA SOLA CONTRO TUTTI

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Dal blog indipendente Strisciarossa. Ecco cosa scrive Paolo Soldini, commentatore che conosce bene l’Europa viste anche le sue esperienze come corrispondente da Bruxelles: “Molti nemici molto onore: magari lo vede così Matteo Salvini il futuro dei suoi rapporti con l’Europa. Sarebbe nello stile del personaggio, ma certamente non nell’interesse degli italiani. La vittoria senza discussioni in casa rischia di provocare un disastro senza rimedi a Bruxelles. Un disastro che può essere riassunto in una parola: isolamento.
Si comincia subito. Tra un paio di settimane la Commissione Juncker pubblicherà le raccomandazioni sulla politica economica dei singoli paesi dell’Unione. Quello che ci sarà scritto nel capitolo dedicato all’Italia è più che prevedibile e dovrebbe essere anticipato in una lettera che sta per partire da Bruxelles: lo sfondamento dei parametri da parte del governo italiano in materia di deficit e di debito è intollerabile, rischia di insidiare seriamente la stabilità dell’intera eurozona e quindi nella prossima manovra finanziaria dovrà essere recuperato, pena sanzioni e/o commissariamento.
Storia già sentita, direte. L’avevano già detto a proposito dell’ultima legge di bilancio, nell’autunno scorso. Poi ci fu una lunga e faticosissima trattativa condotta per l’Italia dal presidente del Consiglio Conte e dal ministro Tria e si arrivò a un compromesso. Stavolta, però, i margini per la trattativa non ci saranno: Conte e Tria, ammesso che siano ancora al loro posto e non ci sia stata nel frattempo la crisi di governo che alcuni danno per probabile, saranno molto più deboli sul fronte interno nei confronti di un Salvini vincente e più che mai determinato a “fregarsene” dei “numeretti di Bruxelles”. Ma sarà soprattutto la Commissione a mostrarsi assai meno propensa a discutere. Primo perché essendo sul piede di partenza non ha il problema di compromettere futuri rapporti, secondo perché, a differenza dell’autunno scorso, si troverà di fronte a richieste di flessibilità legate a ipotesi di spesa da parte italiana assolutamente irricevibili. L’altra volta l’aumento della spesa pensionistica per quota cento era indigeribile ma, almeno, sul reddito di cittadinanza come misura di contenimento della povertà qualche comprensione si poteva concepire. Rovinare i conti (non solo i propri ma quelli di tutti) per una flat tax che non ha alcun vantaggio sociale – anzi, al contrario – e ai cui effetti espansivi credono solo gli economisti amici di Salvini e Berlusconi è l’ultima cosa che un esecutivo europeo responsabile potrebbe accettare.
Qui si misura la colpevolissima sprovvedutezza della classe dirigente, chiamiamola così, gialloverde, i cui campioni per mesi e mesi, nella loro campagna elettorale permanente avevano propalato la favoletta di un “cambio radicale” delle politiche brussellesi dopo la clamorosa vittoria che, secondo loro, sovranisti e populisti portatori di democrazia diretta erano destinati ad avere alle elezioni. Era una stupidaggine. Intanto perché, anche a voler dar credito alle illusioni trionfalistiche di Salvini, Di Maio e rispettive corti, comunque non sarebbe cambiato nulla, giacché i tempi della formazione della nuova Commissione sono tali che anche la manovra di fine 2019 sarebbe stata trattata comunque dagli stessi “nemici”: Moscovici, Dombrovskis e compagnia. Ma era una stupidaggine soprattutto perché se davvero, come speravano i nostri eroi, si fosse verificato un ribaltone sovranista è assolutamente certo che una Commissione rispondente ai nuovi rapporti di forza sarebbe stata ancor meno propensa a concedere margini al paese in cui fioriscono limoni e debiti. Che Salvini e soci potessero pensare che i “Veri Finlandesi”, i parafascisti austriaci o i nazionalisti fiamminghi, ma anche gli amici Orbán e Kaczynski, sarebbero stati più teneri con i cicaloni mediterranei è una prova di tragico provincialismo della politica italiana. E anche di molti commentatori.
Per fortuna ci risparmieremo l’onere della prova. A impostare, se non anche a concludere la prova di forza sulle follie di bilancio italiane sarà la Commissione attuale, la quale reclamerà quell’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia che l’attuale governo giura e spergiura che non ci sarà mai oppure tagli di spesa equivalenti. E non ci sarà da discutere: sarà guerra. Una guerra in cui l’Italia non avrà alcun alleato e che inevitabilmente perderà con disonore. Molti pensano che né le autorità di Bruxelles, né il Fondo Monetario, né la Banca centrale europea arriverebbero mai a riservare a un grande paese tra i fondatori dell’Europa l’onta del commissariamento con la trojka e forse hanno ragione, ma se il governo italiano che ci sarà a quel punto dovesse impuntarsi, la procedura d’infrazione sarebbe inevitabile e il grande spauracchio dell’autunno dell’anno scorso tornerebbe rivestito di carne e di ossa. E se guerra sarà, che parte faranno i mercati? La fiammata dello spread a 290 delle ultime ore fa intuire la risposta. C’est ne qu’un début?
La guerra d’autunno sulla disciplina di bilancio non è l’unica in cui l’Italia salviniana si troverà a combattere da sola. Il flop del Grande Assalto Sovranista al parlamento europeo ha portato a una composizione dell’assemblea in cui l’estrema destra è marginale ed esclusa dai giochi delle alleanze. Anche se riuscissero a riunirsi in un unico gruppo (cosa assai difficile per partiti che in casa propria predicano la religione del “prima i miei”), il centinaio di eurodeputati che sono stati eletti nelle file sovraniste e simili resterebbero comunque spettatori. Le ultime speranze di poter avere almeno la possibilità di condizionare dall’esterno i moderati del PPE, stringendo almeno qualche intesa di sottopotere o d’iniziativa politica su temi in cui c’è una qualche convergenza, per esempio l’immigrazione, sono state crudelmente soffocate dalla rottura avvenuta a Vienna, dove il cancelliere popolare Sebastian Kurz è stato sfiduciato con un clamoroso gesto di rottura da parte degli ultradestri della FPÖ. L’Austria era l’unico paese di qualche rilievo in cui si era sperimentato quel modello di alleanza.
Le truppe della Lega, con i loro alleati lepeniani e le decimate falangi degli altri sovranisti, sono quindi del tutto isolati nel parlamento europeo. Peggio di loro stanno solo i Cinquestelle, i quali hanno visto finire in un prevedibilissimo disastro la strategia di alleanze con fascistoidi polacchi, ultraliberisti antitasse finlandesi, spontis croati e altri con cui l’ingenuo Di Maio s’era detto sicuro di poter arrivare a formare un gruppo parlamentare.
Questo porta con sé un ulteriore isolamento: nella composizione e negli equilibri politici della prossima Commissione, della quale si è cominciato già a discutere con il massimo della “inufficialità” nella cena di lavoro tra i capi di stato e di governo mercoledì sera, gli italiani governativi non conteranno assolutamente nulla. Sia Salvini che Di Maio sono andati per mesi annunciando che avrebbero imposto un commissario in grado di sostenere “gli interessi italiani”, rinunciando all’”inutile” posto di capo della diplomazia europea occupato finora da Federica Mogherini, con giudizi inutilmente e ingiustamente offensivi sul suo operato. Si tratta di una scandalosa manifestazione di analfabetismo istituzionale, giacché la Commissione è l’esecutivo dell’Unione, i suoi componenti non rappresentano i paesi membri, e soprattutto non rispondono (o almeno non dovrebbero) alle indicazioni dei governi. Ma anche un’inutile smargiassata: i commissari dopo la loro proposizione da parte dei paesi membri debbono passare al vaglio del parlamento europeo ed è molto dubbio che l’assemblea accetterebbe di votare per un commissario italiano schierato sulle posizioni dure e pure dell’antieuropeismo salvinesco. Ricordiamo che a suo tempo neppure Berlusconi, che pure era a capo di un partito importante del gruppo PPE, riuscì ad imporre un uomo suo come commissario. Nominò Mario Monti ed Emma Bonino e quando provò a imporre Rocco Buttiglione dovette assistere alla sua ignominiosa bocciatura da parte degli europarlamentari disgustati dalla sua omofobia.
È difficile prevedere da adesso come finirà la vicenda della nuova Commissione. Il metodo degli Spitzenkandidaten dovrebbe far approdare alla sua guida il tedesco cristiano-sociale Manfred Weber, l’uomo indicato dal PPE che ha mantenuto il primato del numero di eurodeputati. Ma la debolezza mostrata dalla compagine di Angela Merkel potrebbe rimescolare le carte e la necessità di allargare l’alleanza istituzionale tra popolari e socialisti almeno ai liberali e forse anche ai Verdi potrebbe far emergere una candidatura diversa, forse liberale. E poi sul terreno lo Spitzenkandidat socialista Frans Timmermans ha anche gettato l’ipotesi di un’alleanza europeista-progressista che andrebbe dalla sinistra del GUE ai liberali e taglierebbe fuori il PPE e, ovviamente, le destre estreme. Un’ipotesi cui sembrano mancare i numeri ma che comunque segnala anch’essa la marginalità dei sovranisti.
C’è infine un terzo fattore di isolamento del governo sovranista italiano nel futuro assetto dell’Europa. Il 1° novembre prossimo scade il mandato di Mario Draghi alla guida della Banca Centrale Europea. Non c’è alcuna minima possibilità che il suo successore sia un italiano, ma un governo di Roma che avesse qualche peso e potere contrattuale potrebbe giocare un ruolo nella scelta del nuovo presidente, battendosi, magari insieme con i francesi e gli spagnoli, perché non sia un restauratore delle politiche ultramonetariste che erano in auge prima di Draghi e del suo interventismo con il quantitative easing. Potrebbe, almeno, battersi perché all’Italia venga riservato un posto nel board della BCE.