Ebbeno no, non è stato Mussolini a istituire la tredicesima e le pensioni

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Puntualmente ogni anno, in prossimità del mese di dicembre (mese di tredicesima per molti lavoratori italiani), salta fuori la bufala storica che magnifica le presunte “cose buone” fatte da Benito Mussolini. Tra queste, spiccano la tredicesima e le pensioni. Ebbene no, la tredicesima e le pensioni non le ha istituite Mussolini. Ci sembra utile, dunque, riproporre la versione reale dei fatti ricostruita dalla Fisac Cgil de L’Aquila.

Ogni tanto salta fuori qualcuno che ripropone questo luogo comune, decisamente privo di contatti con la realtà. Praticamente tutti i presunti meriti del regime fascista sono basati sulla narrazione di fatti inesistenti, o pesantemente contraffatti. Proviamo quindi ad esaminare alcuni dei cavalli di battaglia dei nostalgici del ventennio.

Prima, però, parliamo di quello che è stato l’indiscutibile demerito del regime fascista. Senza volerci soffermare su “quisquilie” come le Leggi Razziali o le violazioni dei diritti umani, Mussolini ha l’enorme colpa di aver trascinato l’Italia in una guerra totalmente assurda, salvo poi tentare la fuga travestito da tedesco, portando con sé la compagna ed i soldi, quando le cose si sono messe male. Se anche avesse fatto cose buone (e non le ha fatte) nulla potrebbe compensare questa enorme colpa.
Ed è curioso vedere come i sovranisti, quelli che odiano l’Europa perché non possono pensare che il Governo Italiano si sottometta alla Germania e faccia ciò che vuole la Merkel (è questa la loro visione dell’UE), considerino normale che ai tempi di Mussolini il Governo Italiano si sia sottomesso alla Germania ed abbia fatto la guerra che voleva Hitler, causando inutilmente la morte mezzo milione di Italiani.
Basta questa semplice considerazione a dimostrare che le nostalgie per il regime fascista sono frutto di ignoranza e pregiudizi.

Andiamo ora ad esaminare le presunte “cose buone” fatte dal regime fascista.

Le pensioni INFPS: l’unica riforma del fascismo fu il nome (la F non è un errore di battitura)

“Fu Mussolini a introdurre la pensione di reversibilità nel caso morissero lui o lei. La previdenza sociale l’ha portata Mussolini, non l’hanno portata i Marziani”
Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, intervista radiofonica del 16/2/2016

In effetti il ministro Salvini ha ragione: la previdenza sociale in Italia non l’hanno portata i marziani. Ma nemmeno Mussolini e il fascismo. Come ricostruisce Francesco Filippi nel libro “Mussolini ha fatto anche cose buone” , il primo sistema di garanzie pensionistiche – destinato ai soli impiegati del pubblico e ai militari – è del 1895, governo Crispi.
Tre anni dopo il governo Pelloux estenderà le coperture a una serie di categorie lavorative e fonderà il primo istituto antenato dell’Inps. Infine nel 1919, governo liberale di Vittorio Emanuele Orlando, il sistema viene “imposto a tutte le aziende come obbligatorio: da quel momento tutti i lavoratori italiani ebbero per diritto la pensione”.

E il fascismo? Quando prende il potere si preoccupa – abolito il ministero del Lavoro – di concentrare tutte le funzioni che hanno a che fare con il welfare sotto la Cassa Nazionale col risultato di provocare “l’appesantimento del sistema e la sua progressiva inefficienza”, sottolinea Filippi.
E poi, nel 1933, una riforma imponente: cambia il nome all’istituto, che diventa Infps, con la EFFE a fare da insegna luminosa. “Un tentativo propagandistico – spiega Filippi – di impossessarsi di quello che nei fatti era stato il frutto di decenni di contrattazioni e lotte sindacali, di riforme attuate dai governi liberali e di iniziative delle associazioni di categoria dei lavoratori”.
Nel frattempo ciò che fa davvero il fascismo per i lavoratori è, nel 1926, stabilire che potevano esistere solo sindacati fascisti e vietare lo sciopero e la serrata, mettendo sotto giogo in un colpo solo i lavoratori e gli imprenditori. L’INFPS negli anni diventerà una macchina da stipendi, uno sfogatoio per le clientele e quindi un produttore di consenso.

La tredicesima: Mussolini non è mai stato Babbo Natale

“Non ti piace Mussolini? E allora rinuncia alla tredicesima”

E’ una delle più diffuse stupidaggini che circolano sui social, attribuendo al Mascellone un altro merito che in realtà non gli compete.

Come stanno davvero le cose?

Con il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) del 05/08/1937 art. 13 venne introdotta una “gratifica natalizia”, cioè una mensilità in più da corrispondere nel periodo natalizio ai soli impiegati del settore dell’industria.
Quindi la gratifica non era per tutti i lavoratori ma solo per quelli del settore industria. E anche in questo settore rappresentava un privilegio più che un diritto, visto che non ne beneficiava nessuno degli operai, che nell’industria rappresentavano ovviamente la grandissima maggioranza dei lavoratori.
Per loro, lo stesso contratto prevedeva invece condizioni che nulla avevano a che fare con lo spirito natalizio. Come l’articolo 8, che a proposito di “Orario di lavoro, lavoro straordinario, notturno e festivo”, poneva l’orario di lavoro a 10 ore giornaliere, con possibilità di straordinari fino a 12 ore non rifiutabili dal lavoratore: “Nessun impiegato potrà rifiutarsi, entro i limiti consentiti dalla legge, di compiere il lavoro straordinario, il lavoro notturno e festivo, salvi giustificati motivi di impedimento“.
Tutto questo era perfettamente coerente con quelle che erano le normali politiche dell’epoca fascista, in una società volutamente basata non sui diritti per tutti, ma sui privilegi per pochi.

La vera “tredicesima”, intesa non come “gratifica” per pochi, ma diritto ad una mensilità in più per tutti, venne istituita in due fasi:

con l’accordo interconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946, che la garantì a tutti i lavoratori del settore industria;
con il Decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 1960 n. 1070, che dopo quindici anni di lotte sindacali e operaie nelle fabbriche e nelle piazze (dello stesso anno anche l’eliminazione delle tabelle remunerative differenti per maschi e femmine), lo estenderà a tutti i lavoratori.

E allora chi dobbiamo ringraziare per la tredicesima che oggi tutti i lavoratori percepiscono? Il ringraziamento non può che andare a tutti quei lavoratori e quegli operai che con le loro azioni sindacali, proteste, lotte e manifestazioni hanno ottenuto non solo la tredicesima, ma tutta una serie di diritti che oggi la politica sta cercando di rimettere in discussione (e forse questo spiega certe nostalgie per il regime).

Le bonifiche, una scomoda verità

“Io non sono fascista, però se bisogna essere onesti Mussolini ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia”
Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo. Intervista radiofonica del 12/3/2019

Littoria, il simbolo del miracolo, la città fondata sulle terre strappate all’acqua, l’orgoglio della potenza fascista che nel 1933 dichiara la propria vittoria: la missione impossibile delle bonifiche, perfino nell’Agro Pontino, è compiuta. Lì dove hanno fallito tutti, il fascismo è riuscito. Ma è un racconto possibile solo grazie a una “grande operazione pubblicitaria”, obietta lo storico Francesco Filippi nel libro. La realtà la dicono i numeri che danno conto piuttosto di una serie di fallimenti, a dispetto dei proclami falsificati.

Il fascismo, rimarca Filippi, aveva promesso di restituire all’agricoltura 8 milioni di ettari di terreni riqualificati: un’enormità. Dopo dieci anni di lavori più tentati che andati a segno e fiumi di denaro pubblico finiti – come accade sempre con il fascismo – ad amici degli amici e collettori di consenso del regime (come l’Opera nazionale combattenti), il governo annuncia il successo del recupero di 4 milioni di ettari. Sarebbe comunque tanto. Ma Filippi indaga sui particolari e scopre che i lavori “completi o a buon punto” arrivano a poco più di 2 milioni di ettari. E – bluff nel bluff – “di questi due milioni, un milione e mezzo erano bonifiche concluse dai governi precedenti al 1922”. Insomma, non dal fascismo. “In pratica – conclude Filippi – era stato portato a termine poco più del 6 per cento del lavoro”. E’ De Felice, uno dei più autorevoli storici del fascismo, a certificare – ricorda Filippi – che i risultati, nel complesso, furono inferiori “alle aspettative suscitate nel Paese dal battage propagandistico messo in atto e finirono per non corrispondere all’entità dello sforzo economico sostenuto”. A riuscirci saranno poi i governi del Dopoguerra, grazie ai fondi del Piano Marshall e della Cassa del Mezzogiorno.

Mussolini immobiliarista

“Le case agli italiani!”

Così gridano oggi i fascisti di CasaPound nelle periferie di Roma. Certo avrebbero avuto poche speranze di essere accontentati dal fascismo.
La prima legge sulle case popolari infatti è del 1903, per iniziativa di Luigi Luzzatti, deputato liberale che poi sarà presidente del Consiglio. I maggiori progetti di sviluppo urbano nelle grandi città con fame di abitazioni nascono tutti nei primi 15-20 anni del Novecento: Roma (la Garbatella per esempio), Torino, Napoli, Milano.
L’unico “tocco decisivo” del fascismo, nel 1935, fu la decisione di gestire il sistema a livello provinciale.

Annota ancora Filippi: “Come in altri campi della cosa pubblica, anche nell’edilizia popolare il fascismo si limitò a porre sotto il proprio controllo e ribattezzare strutture amministrative nate nell’Italia liberale”. A fronte di grandi progetti colossali come l’Eur, “la situazione abitativa rimase emergenziale anche negli anni più tardi del fascismo”. E la carenza di alloggi fu aggravata dalla decisione di Mussolini di portare l’Italia in una guerra mondiale: due milioni di vani andarono distrutti e un altro milione fu danneggiato, sintetizza Filippi.

L’oro alla patria. E agli italiani niente

“Si stava meglio quando si stava peggio.”

E invece no. Come spiega Filippi, durante il ventennio fascista il divario della ricchezza media tra un italiano e un cittadino degli altri Paesi sviluppati si allargò. Un po’ per colpa della congiuntura internazionale (la crisi del ’29), un po’ per i problemi strutturali, ma anche perché “tutte le iniziative prese dai governi di Mussolini contribuirono a peggiorare la situazione”.
Un effetto fu la divaricazione delle disuguaglianze: i ricconi – quasi tutti aderenti al regime – da una parte e la massa della popolazione dall’altra. Unica via d’uscita: l’emigrazione (all’epoca non avevamo il problema dell’accoglienza. Semmai quello di essere accolti. Durante il fascismo noi eravamo quelli sui barconi).

Un dato, da solo, basta a spiegare quanto drammatica fosse la situazione economica. Come ricorda Filippi, oggi il reddito medio italiano è circa il 90% di un Paese europeo avanzato come la Francia. Negli anni Trenta del secolo scorso era il 33%.

La legalità ai tempi del duce

“Tutti questi politici delinquenti Mussolini li avrebbe mandati al confino”

Di tutte le balle sul fascismo, quella del presunto amore per la legalità e l’ordine resta la più grossa.
Il partito si è fatto strada con la violenza, con le manganellate agli avversari.
E una volta raggiunto il potere lo ha rafforzato grazie su clientele e corruzione. E’ emblematico il caso di Giacomo Matteotti, ucciso per impedirgli di rendere noti i documenti che provavano una tangente incassata da Arnaldo Mussolini, fratello del duce.

Al mito della moralità del regime contribuì in modo determinante l’abolizione della libertà di stampa, trasformando i giornali in organi propagandistici, destinati a raccontare la realtà immaginaria di un Paese che nella realtà non esisteva.

Ricordiamocelo quando – e succede sempre più spesso – i politici attaccano i giornalisti che svelano i loro scheletri negli armadi.