Erdogan, il sultano che tiene sotto scacco l’Europa

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Scossi, sconvolti, solidarietà. Nel giorno di un difficile Consiglio europeo sulle misure anti-covid, l’Europa è scioccata dai fatti di Nizza: 3 morti per la furia di un attentatore armato di coltello, ferito dalla polizia e catturato, urlava “Allah Akbar” mentre lo trasportavano in ospedale. Mentre scriviamo non c’è conferma che si tratti di un attentato di matrice islamista, ma è un altro episodio di violenza di questo genere in Francia nel bel mezzo dello scontro aperto tra Emmanuel Macron e Rece Tayyip Erdogan, scoppiato dopo la decapitazione a Parigi di Samuel Paty, il professore che mostrava ai ragazzi le vignette di Charlie Hebdo su Maometto. Uno scontro di fronte al quale l’Europa non è mai andata oltre le parole di condanna, usate oggi anche da Ankara comunque. Erdogan è il vicino di casa imbarazzante, con il quale Angela Merkel non ha interesse a rompere.

Quanto sta avvenendo, all’ombra della crisi di per sé gravissima del covid, tocca i nervi delle relazioni tra Turchia e Unione Europea. E dietro le fattezze di uno scontro di civiltà, tra Macron che difende Charlie Hebdo e la laicità dello Stato ed Erdogan che gli dà del “malato mentale” e invita a boicottare i prodotti francesi, si giocano interessi economici e geopolitici ancora più pressanti in epoca di crisi da covid, la più pesante dalla seconda guerra mondiale.

Intanto, lo scambio al vetriolo tra il presidente francese e il presidente turco ha animato le piazze anti-francesi nei paesi islamici: solo due giorni fa a Dacca nel Bangladesh, oltre 40mila persone hanno sfilato contro ‘la Republique’ bruciando il tricolore francese. Oggi i fatti di Nizza, mentre sempre stamane ad Avignone un uomo ha attaccato la polizia con un coltello ed è stato ucciso. Al consolato francese di Gedda una guardia è stata ferita da un assalitore.

Se è terrorismo islamico, non è organizzato, concordano sulle tv francesi vari esperti della materia. Insomma, non siamo di fronte agli attacchi organizzati del 2015 nella sede di Charlie Hebdo, giornale satirico finito nel mirino dei fondamentalisti. Ad ogni modo, lo scontro in corso tra Ankara e Parigi è oggi lo specchio migliore per mettere a fuoco le divisioni tra gli Stati membri dell’Ue, per niente livellate dal covid, anzi.

Con Erdogan, che sta cercando con discreto successo di diventare punto di riferimento del mondo islamico, Francia e Germania, il ‘motore’ europeo da sempre, non hanno lo stesso approccio. E sta anche in questa divisione, oltre che negli interessi dei diversi Stati membri, il motivo per cui per ora l’Ue è arrivata solo a minacciare sanzioni contro la Turchia, dopo che ormai da tempo navi militari turche sconfinano nelle acque di Cipro e Grecia alla ricerca di gas naturale. L’ultimo Consiglio europeo sull’argomento si è concluso appunto con una minaccia. Se ne ridiscuterà al summit di dicembre. Né l’attuale scontro tra Parigi e Ankara ha accelerato il dibattito. Almeno finora non sono previsti vertici straordinari su questo.

Erdogan riesce a condizionare l’Europa, anche se la Turchia non è riuscita a entrare nell’Ue: dossier, tra l’altro, ufficialmente non chiuso, ma accantonato da tempo. E Merkel è la prima leader interessata a mantenere un rapporto di dialogo con Ankara. Fu lei, quattro anni fa, a insistere affinché l’Europa firmasse con Erdogan lo ‘scelerato’ patto sui migranti: finanziamenti europei dei progetti turchi in cambio dell’impegno del leader di Ankara di fermare i flussi dei migranti dai Balcani, diretti prevalentemente in Germania. Quel patto ha portato ad Ankara risorse ma soprattutto margini di pressione sull’Ue pressochè infiniti.

La Turchia è inoltre un paese membro della Nato che è riuscita a piazzare i suoi soldati in Libia, a difesa del governo di Tripoli guidato da al Serraj e riconosciuto dall’Onu. Nessuno nell’Alleanza Atlantica ha condannato al momento opportuno, salvo poi lamentare la “guerra per procure” alla conferenza di Berlino sulla Libia nel gennaio scorso, quando tutti i leader europei furono costretti a dare il loro ‘benvenuto’ ad Ankara e Mosca (a difesa del generale Haftar) sullo scenario libico di spartizione del petrolio.