«Eutanasia mai! Vorrei curarmi ma non posso». La testimonianza di un malato di Sla

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I malati e disabili gravi non chiedono di morire. Ogni essere umano vuole vivere e cerca cure per migliorare le sue condizioni. Uno di questi è Tony Laganà, di Cesano Maderno, 47 anni, da undici affetto da sclerosi laterale amiotrofica. Divorziato e padre di due figli di 23 e 16 anni, è attualmente accudito dalla madre e dalla figlia più piccola. Prima della malattia, Laganà era un piccolo imprenditore, titolare di un’azienda di impianti elettrici. Il discreto benessere in cui viveva non è affatto bastato per pagarsi le cure. L’acquisto della sua attuale carrozzina elettrica è stato possibile grazie alle donazioni raccolte dall’associazione Salvagente, in collaborazione con il quotidiano Il Giorno che da qualche anno segue la sua vicenda.

Dopo essere stato sottoposto a tracheotomia, Laganà viene sottoposto quotidianamente, per almeno un’ora alla «pulitura dei polmoni», per liberare le vie respiratorie dal catarro che gli si deposita durante la notte. Senza questa procedura mattutina, Tony rischierebbe di soffocare. Da anni ha perso l’uso delle gambe, poi delle braccia e, in gran parte, quello della parola. Riesce però a digitare sul computer e non ha mai smesso di documentarsi sulla sua malattia. Laganà avvertì i primi sintomi della Sla nel momento in cui non riusciva a frenare la sua moto: le due ruote erano la sua grande passione quando era in salute.

La voce del buon senso Si considera un miracolato. Tanti altri nelle sue condizioni e dopo altrettanti anni di Sla erano già morti. Con grande determinazione e nettezza ha sempre rifiutato l’eutanasia. «Non fa per me», ha recentemente dichiarato a Il Giorno, con il poco fiato che gli rimane nei polmoni. «Non biasimo chi la chiede, ma non la voglio, non in quella maniera, in cui si sedano e ti fanno morire di sete e di fame. Non è umana. Io non sono in stato vegetativo. Non mi muovo, è vero, ma per il resto continuo a vivere: mi sveglio alla mattina, faccio colazione, bevo il caffè, guardo la televisione, uso il computer. Rido». Nonostante tutto, infatti, Tony riesce ancora a ridere e scherzare.

L’unico esito della sua malattia, però, è la morte: si potrà ritardarla ma non evitarla. Contro la Sla i farmaci non sono efficaci, anzi, nel suo caso sono risultati dannosi. «L’unico medicinale che ti prescrivono è il riluzolo, ma non serve a nulla» ha raccontato. «Ti devasta, ti mangia dentro, ti spappola il fegato. L’ho preso per un paio di mesi, e l’ho piantato lì: il mio fegato sembrava quello di un alcolizzato. E per cosa, poi? Per qualche mese di vita in più?».

Una speranza, tuttavia, c’è. Non per guarire ma per vivere meglio. Nel corso delle sue ricerche online Laganà ha scoperto l’esistenza di una cura a base di cellule staminali, praticata in Germania e Svizzera. «Mi ricarica come una pila – dice – mi regala cellule nuove che vanno a sostituire quelle che continuano a morire. Mi fa bene». Laganà l’ha praticata poche volte, l’ultima un anno fa, nell’agosto 2018. Costando 1500 euro a infusione e richiedendo tre giorni di permanenza a Francoforte, Tony non può più permettersela. Gli assegni di invalidità che riceve sono pari a poco più di 1600 euro mensili, di cui 500 dallo Stato per l’accompagnamento, 1100 dalla Regione come contributo alle persone affette da malattie rare e poco altro dal Comune di Cesano Maderno.

Tony ha quindi raccontato di essersi visto imposta «un’amministrazione di sostegno», che in realtà andrebbe attribuita agli incapaci di intendere e volere. Un’umiliazione per lui, perché «la mia testa funziona benissimo, è solo il mio corpo a non funzionare più». La conseguenza è che non riesce più a gestire i suoi soldi come vorrebbe. «Tutto quello che prendo viene amministrato da un’avvocato che non vedo mai. E che mi tocca anche pagare. Soldi che preferirei utilizzare per fare altro, ad esempio per curarmi». A questo scopo, Tony Laganà ha diffuso il suo iban, per eventuali donazioni. La speranza è più forte della malattia…

Luca Marcolivio  fonte