Farmaci orfani: il loro valore sta anche nella riduzione dei costi indiretti delle malattie rare

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A parlarne è stato il prof. Francesco Saverio Mennini (Università Tor Vergata), intervenuto in occasione del III Orphan Drug Day

Quanto costa una malattia? Una domanda un po’ brutale, per qualcuno carica di insensibilità, ma necessaria. Una malattia, specialmente se rara e magari incurabile, ha sempre un ‘prezzo’ altissimo per chi ne è affetto, che si misura in anni, mesi o giorni di vita a cui rinunciare e sofferenze da sopportare, giorno e notte, senza sosta. Al di là di ciò, la domanda su quale sia il costo vero e proprio di una patologia riguarda non solo il paziente ma anche altre figure, come quelle dei parenti del malato, dei medici e degli infermieri che lo curano, dei ricercatori e dei legislatori, nonché delle Autorità che devono far sì che le nuove possibilità terapeutiche si concretizzino in efficienti programmi di erogazione dei farmaci.

Perciò, la domanda iniziale può essere rivolta a tanti interlocutori e deve trovare risposta da ognuno di essi. Tralasciando per un istante la diversità nei meccanismi di approvazione dei farmaci tra Stati Uniti, Europa e Asia, e senza volersi inoltrare troppo nel confronto tra i sistemi sanitari europei e quelli d’oltreoceano, si può provare a rispondere pensando alle implicazioni che più direttamente una malattia pone: cura e assistenza.

Al III Orphan Drug Day, dal titolo “Farmaci orfani e SSN, storia di un circolo virtuoso”, tenutosi a Roma, presso il Ministero della Salute, il prof. Francesco Saverio Mennini, direttore Economic Evaluation and HTA (EEHTA) del CEIS, Università Tor Vergata, ha spiegato in termini molto chiari quali siano i costi indiretti di una malattia rara, legati alle assenze dal lavoro, al peso della disabilità e, in ultima analisi, alla mortalità, con conseguente impatto sul sistema previdenziale, senza trascurare che i malati abbisognano di assistenza continua e di qualità. Per essere ancora più chiari, si può pensare che i costi indiretti siano paragonabili alla frazione sommersa di un icerberg, che come quasi tutti ormai sanno, è sempre molto più voluminosa di quella che emerge dalla superficie dell’acqua. “I costi dovuti a perdita di produttività e quelli previdenziali rappresentano il peso economico maggiore nel campo delle malattie rare”, afferma chiaramente il prof. Mennini il quale, dati alla mano, analizza i costi di diverse patologie.

La mancanza di produttività del paziente e di chi ha il compito di prendersi cura dello stesso (il caregiver) pesa per circa 11mila euro all’anno per i malati di atrofia muscolare spinale (SMA). Se consideriamo che in Italia i pazienti affetti da questa malattia sono circa 900, i costi indiretti ad essa associati ammontano a circa 23,5 milioni di euro ogni anno. È una cifra spaventosamente alta, alla quale si aggiungono i quasi 21 milioni di euro annui per la distrofia muscolare di Duchenne (3.000 pazienti circa), i 7,8 milioni per l’acromegalia (2.000 pazienti) e i 13,1 milioni per la LHON o neuropatia ottica ereditaria di Leber (2.600 pazienti). Si tratta solo di qualche esempio, ma la lista delle malattie rare che incidono così pesantemente in termini di costi indiretti è lunga e, se si considerano anche i tumori rari, le cifre crescono a dismisura. È stato stimato, infatti, che per il mesotelioma – il tumore della pellicola che avvolge i polmoni, associato a esposizione all’amianto – i costi indiretti annui per paziente sfiorino i 200mila euro. Disporre di numeri come questi è il prerequisito necessario per svolgere un sapiente lavoro di riduzione degli stessi, a beneficio di tutti coloro che li devono sostenere.

Anche perché a questi si devono aggiungere i costi previdenziali valutabili in termini di numero di assegni ordinari di invalidità (per lavoratori con grado di invalidità tra il 67% e il 99%) e pensioni di inabilità (per lavoratori inabili al 100%), entrambi finanziati ed erogati dall’INPS. Secondo i dati presentati da Mennini, dal 2006 al 2015, per quanto riguarda le malattie rare, è stato possibile osservare una crescita del 61,5% sul totale di domande accolte per assegni ordinari di invalidità e del 46% per le pensioni di inabilità. Sul fronte dei tumori rari, invece, è stato segnalato un incremento pari al 63% delle domande accolte per assegni ordinari di invalidità e una diminuzione del 31% delle domande accolte di pensioni di inabilità.

Ridurre queste voci è vitale per favorire la sostenibilità non solo del sistema sanitario ma anche dei tanti nuclei famigliari in cui è presente un paziente affetto da malattie o tumori rari. “Pertanto, nel momento in cui valutiamo l’ingresso sul mercato di un nuovo farmaco, non possiamo considerare solo l’impatto sulla spesa farmaceutica – precisa Mennini – ma dobbiamo pensare anche e soprattutto alla riduzione dei costi indiretti”. Parole che spostano il focus del discorso sia sulla valorizzazione di farmaci ad uso off-label, cioè utilizzabili per altre patologie oltre a quelle per cui sono inizialmente approvati, sia sullo sviluppo di nuovi dispositivi medici e terapie.

Per quanto riguarda la ricerca di nuovi trattamenti, tra i più avanzati, ad esempio, vale la pena citare la terapia genica, su cui l’intero settore delle biotecnologie punta moltissimo e che assume lo stesso significato che aveva la Luna, cinquant’anni fa, in campo aerospaziale: è una nuova frontiera e un traguardo da raggiungere il prima possibile, per poi procedere verso l’infinito che, nell’universo medico, corrisponde all’eradicazione di una patologia. Nel complesso, le persone affette da malattie genetiche rare sono un numero decisamente consistente: purtroppo però, se consideriamo le singole patologie, i pazienti sono spesso pochissimi e diventa difficile condurre adeguati studi clinici o trovare gli strumenti idonei per valutare gli esiti delle terapie. Inoltre, i budget a disposizione per le sperimentazioni sono limitati e i costi delle nuove terapie, sia di produzione che di controllo della qualità, sono elevati. Perciò, si fa via via più stringente la necessità di elaborare nuovi modelli per i processi regolatori atti a valutare le tecnologie terapeutiche più avanzate, sia dal punto di vista dell’efficacia che del prezzo, e di individuare Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA) diversi per ogni patologia, che aiutino sia a rendere più intelligente e mirata la spesa sanitaria che di maggior qualità la vita ai malati.