FCA: CONTRO PRESTITO DA 6,3 MILIARDI CODACONS PRESENTA RICORSO AL TAR DEL LAZIO

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ILLEGITTIMO CONCEDERE FINANZIAMENTI A SOCIETA’ CHE HANNO SEDE ALL’ESTERO. ASSOCIAZIONE CHIEDE A GIUDICI DI SOSPENDERE IL PRESTITO

Il Codacons ha notificato un ricorso al Tar del Lazio contro il prestito da 6,3 miliardi di euro richiesto da Fca Italia, impugnando la parte del Decreto n. 23 del 2020 che non esclude dalla possibilità di ottenere finanziamenti le imprese facenti parte di un gruppo la cui controllante ha sede all’estero.

Occorre da subito rilevare come la Fca Italy S.p.A., nonostante abbia sede in Italia, sia controllata dalla società madre FIAT CHRYSLER AUTOMOBILES N.V., con sede legale a Londra – spiega il Codacons nel ricorso – L’intera operazione assume quindi contorni di illegittimità, e appaiono destituite di fondamento le dichiarazioni che avrebbe rilasciato proprio Fca Italy S.p.a. a giustificazione della richiesta, secondo cui i finanziamenti sarebbero destinati alle attività italiane del Gruppo FCA e al sostegno della filiera dell’automotive in Italia.

Sembrerebbe, a quanto emerge dalla stampa, che Fca avesse previsto prima dell’emergenza sanitaria di provvedere alla distribuzione di un maxi dividendo da 5.5 miliardi ai soci, prima della fusione con Peugeot prevista per il 2020. Sembrerebbe altresì che Fca, in seguito all’emergenza Coronavirus, si trovi ora in difficoltà rispetto al “maxidividendo”, affidandosi, dunque, al “tesoretto italiano”: proprio quei 6,3 miliardi di finanziamento che, come si legge sulla stampa specializzata, “servono per tenere in piedi Exor, confermando l’extra dividendo milionario che è alla base dell’operazione con i francesi”.

“Ed allora l’inclusione delle imprese controllate da capogruppo avente sede all’estero nel novero dei soggetti beneficiari del finanziamento di cui all’art. 1 del D.L. 23/2020 ha l’inevitabile effetto di consentire che le somme erogate siano di fatto utilizzate non già per investimenti, costi del personale, o capitale circolante, relativi ad attività localizzate in Italia ma, in ultima analisi, per la realizzazione di utili destinati alla società estera, in palese violazione della disposizione legislativa – scrive il Codacons nel ricorso – Non è altresì possibile verificare che il finanziamento eventualmente erogato vada a sostenere (solo) costi relativi ad attività localizzate in Italia. Infatti, i profitti della società italiana realizzati grazie alle disponibilità acquisite con il finanziamento garantito dallo Stato potrebbero agevolmente finire all’estero per mezzo delle operazioni infragruppo realizzate con la società madre e, da lì, essere utilizzati con modalità che, tuttavia, non potranno che sfuggire al controllo dello Stato Italiano. Non solo: FCA Italy paga allo Stato italiano le tasse sulle attività produttive svolte in Italia, ma, per esempio, il gruppo FCA paga nel Regno Unito le tasse sui dividendi che distribuisce ai suoi azionisti (tra cui, il principale, il gruppo Exor della famiglia Agnelli) e che dipendono dagli utili generati dalle sue controllate”.

Il decreto del Governo, inoltre, appare assolutamente incostituzionale per il Codacons, poiché la garanzia per il prestito concesso anche in favore di società con sede all’estero, violerebbe gli artt. 53, 81, 1, 2, 3, 10, 11, 35, 38 comma 2, 41, 47, e 97 Cost., in ragione anche delle conseguenze che ne deriverebbero in termini di disparità di trattamento, regime fiscale dei dividendi e di danno che verrebbe prodotto al PIL italiano e dunque ai cittadini i quali, nella peggiore delle ipotesi, potrebbero trovarsi a subire un aumento dell’imposizione fiscale azionata dallo Stato per rientrare dei costi sostenuti non compensati dalla società controllante estera.

Per tale motivo il Codacons ha chiesto al Tar di annullare il Decreto Legge 8 aprile 2020 n. 23, nonché tutti i documenti relativi alla norma e le modalità operative e attuative concordate tra SACE S.p.A. e ABI, nella parte in cui non esclude dall’accesso al prestito garantito le imprese facenti parte di un gruppo la cui controllante ha sede all’estero, e in via subordinata di voler sollevare questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 1 del decreto.