Fenomenologia di Matteo Renzi, più che politico giocatore di pocker

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Fosse ancora tra noi molto probabilmente Umberto Eco almeno due note le scriverebbe su un’altra “fenomenologia”, quella di Matteo Renzi e della sua inguaribile necessità di porsi sempre e comunque sotto i riflettori, unico sul palco con l’occhio di bue che lo insegue, maglioncino alla Marchionne e unicità sul proscenio a scimmiottare Steve Jobs.

Solo che Renzi non sta sul palco a presentare e promuovere un telefonino, sta lì a proiettare il suo smisurato ego, la sua concezione della politica come piccolo cabotaggio, fatta di ricatti, minacce e smisurata voglia di apparire, di esserci, di contare, perché per lui la politica non è passione e confronto di idee; no, per lui la politica è fatta di posizionamenti e si crede un grande scacchista.

Ha ragione da vendere Pier Luigi Bersani quando dice che l’unico titolo del programma politico di Renzi ha un solo titolo, Renzi, lui stesso, tanto che vuoi che conti il resto.

Si è intestato la nascita del governo “giallorosso” e ha cominciato ad attaccarlo dal suo primo giorno di vita e ha deciso che sulla vicenda della prescrizione doveva esercitare una sorta di diritto di veto, di disturbo continuo senza dare un solo contributo serio alla discussione, anzi arrivando al paradosso di mantenere in vita la riforma Bonafede per altri mesi.

La politica come sforzo di comprensione e di dialogo, di ascolto e riflessione ed elaborazione è un concetto a lui è del tutto estraneo, quello che gli importa è avere un titolo di giornale ogni giorno, di avere ogni giorno immagini dei tg che lo riprendono mentre cammina nel parterre dell’aula con la sua camminata sciolta e quella postura con la testa sempre chinata all’indietro perché lui gli “altri” li deve guardare sempre dal’alto in basso… (gli verrà mai un torcicollo?).

Al governo con i voti di Bersani, quello sbeffeggiato per aver portato il Pd al 25% quando lui lo ha portato a sfiorare il 18, in Parlamento con una nutrita schiera di parlamentari eletti con il Pd che ci fossero le elezioni oggi sarebbero uno o due.

E’ così il Matteo Renzi e così dobbiamo tenercelo, ma usando una frase di Walter Weltroni “anche no”.

In questi giorni ci dice che si augura che si torni a parlare di economia, di recessione, di crisi e intanto parla solo di prescrizione, pone veti e sparge inquinamento solo su quello, peraltro disertando i tavoli dove su quello si discute, l’importante è avere visibilità, costruirsi l’identità e così da una parte lui batte sul chiodo giustizia e dall’altra il M5S in evidente crisi di identità rispolvera la battaglia sui vitalizi.

E il “popolo”? Chissenefrega, se non ha il pane che mangi brioche.

Vuole fare il giocatore di poker come per anni fece Craxi, ma al di là di ogni opinione sul leader del Psi, non ne ha la statura, lui si siede al tavolo del poker credendosi un Daniel Negreanu e si rialzerà come un Emilio Fede qualsiasi.