Flavio Valeri, Presidente e Consigliere Delegato del Consiglio di Gestione, CEO e Direttore Centrale di Deutsche Bank

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Tratto da “ Banchieri “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore

Mio padre aveva deciso che io dovessi diventare un Ingegnere e quindi, essendo lui un Ammiraglio, “obbedii agli ordini” e mi laureai in Ingegneria Meccanica all’Università di Roma nel 1988 a 24 anni. In realtà avrei sempre voluto studiare Economia e Commercio, con specializzazione in Finanza. Negli anni ’80 il mercato finanziario si stava presentando al grande pubblico, nascevano molte pubblicazioni specializzate e si cominciava a parlare di banche d’affari. Io ne ero affascinato. Con la mia laurea di Ingegneria Meccanica in tasca contattai subito le principali banche in Italia facendo domanda al loro dipartimento “finanza” o “operazioni straordinarie”. Non ebbi risposte, tranne un Istituto che mi fece recapitare una lettera standard di diniego. Nel frattempo però mi ero trasferito per l’estate a Washington DC dove la mia famiglia risiedeva in virtù dell’incarico di mio padre di Addetto Navale presso l’Ambasciata Italiana. Negli Stati Uniti contattai le principali banche d’affari e nel giro di poche settimane fui chiamato a New York per i colloqui (dieci a banca!) e ricevetti le offer- te di Morgan Stanley, Lehman Brothers e Credit Suisse First Boston, tutte per l’ambitissimo programma di Junior Analyst nel dipartimento di Corporate Finance. Mi sembrava di sognare… scelsi alla fine Morgan Stanley, cominciai con il Training Programme di sei settimane a New York e poi mi trasferirono a Londra. Nel 1988 capii per la prima volta che le dinamiche fuori dall’Italia sono ben differenti da quelle in atto nel nostro Paese, dopo tanti anni è ancora un po’ così…
Londra per un 24enne negli anni ’80 era un paradiso. Lavoravamo a studiare bilanci aziendali, fare analisi su potenziali quotazioni in borsa (IPO) o fusioni e acquisi- zioni (M&A) ma poi si usciva la sera e nelle poche ore libere del week end si andava a fare sport. L’ambiente era molto internazionale ma tra i giovani ventenni italiani che avevano cominciato a lavorare nelle banche d’affari americane ci si conosceva tutti e molti hanno fatto del- le bellissime carriere come per esempio Massimo Tononi, Andrea Orcel, Maurizio Tamagnini, Marco Morelli o Francesco Conte. C’erano poi i “grandi” – allora 35enni ma per noi “molto senior”! – Claudio Costamagna, Galeazzo Pecori Gilardi, Andrea Morante o Panfilo Tarantelli che erano i nostri “capi” e sono diventati, a vario titolo, dei protagonisti del mondo finanziario italiano. Siamo tutt’ora in contatto e quel periodo di fine anni ’80 a Londra ci lega insieme. Mai ci saremmo aspettati una “Brexit”!
Nelle banche d’affari americane, dopo due anni di Junior Analyst, è prassi andare a fare il Master in Business Administration, il famoso “MBA”. Feci quindi anch’io le varie “applications” e nel 1990 fui accettato alla Harvard Business School, nella città di Boston, forse la migliore Università degli Stati Uniti. Felicissimo andai a Washington DC ad informare i miei genitori e casualmente, ad una cena della piccola comunità italiana della città, incontrai un giovane dirigente della Banca Mondiale che aveva studiato, sempre a Boston, ma al MIT – Massachusetts Institute of Technology. Si congratulò con me e mi incitò a fare tesoro degli anni di studio che avevo di fronte. Era Mario Draghi. Da allora, e sono passati quasi 30 anni, siamo rimasti sempre in contatto anche se non abbiamo mai vissuto nella stessa città! Una volta ammesso ad Harvard bisognava risolvere il problema della retta dell’MBA che era – anche allora – molto alta. Mi misi alla ricerca di borse di studio. Una in particolare suscitò la mia attenzione, era offerta dalla Fondazione Serafino Ferruzzi e sosteneva completamente le rette universita- rie per due anni di studi post laurea negli Stati Uniti. Il bando era pubblicato sull’Economist ed era aperto a tutti i giovani europei. Una vera competizione per sei ricercatissime borse di studio che erano state disegna- te – l’ho scoperto di recente – dal Prof. Quadrio Curzio e dal Prof. Marco Fortis. Fui selezionato, non scorderò mai la generosità della Fondazione Serafino Ferruzzi nei miei confronti, senza il loro aiuto economico l’MBA sarebbe stato molto più complicato da conseguire. I due anni passati a Boston sono stati infatti fantastici, con Premi Nobel come professori e tutte le principali società al mondo che si presentavano agli studenti per convincerli ad accettare la loro offerta di lavoro! Grazie ad Harvard conobbi anche Vittorio Merloni, che essendo molto amico del Rettore dell’università, John Mc Arthur, veniva spesso in campus e invitava i pochissimi studenti italiani a cena. Era un uomo che pensava sempre al futuro, un grand’uomo.
Alla fine dell’MBA, nel 1992, accettai l’offerta di una famosissima società di consulenza strategica, il Boston Consulting Group (meglio conosciuto come “BCG”) allora basata a Parigi e il mio primo capo fu Giovanni Castellucci, l’attuale CEO del Gruppo Atlantia. Giovanni mi ha insegnato ad analizzare le Società dal punto di vista operativo con un rigore maniacale sulla veridicità dei numeri, dei dati e delle fonti. Ricevere i suoi complimenti dopo una presentazione ai clienti era una vera impresa, lavorare con Giovanni è stata una grande palestra di vita e di impegno. Quando tutto sembrava avviato per il meglio al BCG, nel 1994 ricevetti una telefonata da un signore che non conoscevo ma che aveva avuto i miei contatti dal Rettore di Harvard. Era Ronaldo Schmitz, il numero due della Deutsche Bank di Francoforte e cercava un Assistente Esecutivo. Ronaldo è tedesco e cittadino del mondo, essendo nato in Brasile, studiato in Francia e lavorato per anni alla conglomerata chimica BASF dove ne era divenuto il CFO. Aveva appena accettato l’offerta della Deutsche Bank per costruire il dipartimento di banca d’affari per controbattere (il mondo non cambia mai!) lo strapotere delle banche americane. Rimasi affascinato dalla sua offerta e mi trasferii a Francoforte (dopo un periodo di 10 mesi a Friburgo per imparare la lingua e permearmi sul campo della cultura banca-impresa tedesca). Ronaldo mi permetteva di assistere a tutti i suoi meetings con i clienti; erano delle lezioni per me e ogni mese viaggiavo con lui a New York ed in Asia per monitorare e supportare lo sviluppo delle attività di Deutsche Bank in quelle regioni. A Francoforte – allora come oggi – passavano i CEOs delle maggiori aziende del mondo, tutte persone di cui si leggeva nel Financial Times o nel Wall Street Journal. Tra gli italiani, veniva l’Avvocato Agnelli (allora la Deutsche Bank era azionista della Fiat) e un signore molto simpatico che lavorava per Clayton & Dubilier a New York e voleva comprare società tedesche sottovalutate… diceva che lavorava nel settore del “private equity” – allora quasi sconosciuto in Europa – era Alberto Cribiore di cui sono rimasto amico. Finito il periodo di Assistente Esecutivo mi sposai con Agnese, che è sempre stata al mio fianco e, nel 1996 la banca mi ha mandò a Londra, nel Dipartimento di Equity Capital Markets (Mercato Azionario Primario). Si trattava di originare, strutturare, prezzare, sottoscrivere e distribuire tutte le emissioni azionare dei clienti della banca in Europa. Eravamo a metà degli anni ’90: le Borse erano in forte crescita grazie ai primi fondi di investimento, erano iniziate le privatizzazioni tramite collocamenti azionari da parte dei Governi europei, le quotazioni delle prime aziende high tech si stavano sviluppando rapidamente e quindi noi stavamo sempre in giro per l’Europa a vedere clienti e investitori. È stato il perio- do dei 200 aerei l’anno. Quotammo in Borsa aziende di ogni tipo, dai grandissimi monopolisti (tipo Deutsche Telekom) fino alle aziende familiari (tipo Campari). Un periodo eccezionale, coronato, dal punto di vista familiare, dalla nascita a Londra di nostra figlia Matilde. Dopo sette anni alla Deutsche Bank, nel 2001 mi con- tattarono Sergio Ermotti (attualmente CEO di UBS a Zurigo) e Dante Roscini (attualmente Professore alla Harvard Business School di Boston). All’epoca erano responsabili del Dipartimento Azionario di Merrill Lynch, la banca d’affari numero uno al mondo in questo setto- re. Volevano che gestissi le attività di Equity Capital Markets in EMEA – cioè in Europa, Middle East e Africa e io accettai la loro offerta. Incominciò un periodo di crescita continua, sia dal punto di vista “geografico” (aumentai il perimetro delle mie attività, per esempio quotammo tra gli altri anche società come in Marocco e negli Emirati), che di prodotti (strutturammo obbligazioni convertibili e derivati azionari) che di gestione del rischio (compravamo a fermo grandi pacchetti azionari per svariate centinaia di milioni di euro che poi rivendevamo sul mercato). Eravamo al top della nostra professione, gestivamo un flusso enorme di operazioni e vincemmo il prestigioso premio della rivista “IFR – International Financial Review” come “Best Equity House” con tanto di cerimonia di fronte a mille delegati tutti in cravatta nera! A quel punto, e siamo nel 2006, venni convocato a New York da Stan O’Neal, a quel tempo CEO di Merrill Lynch. Stan mi offrì un incarico un po’ speciale, cioè di diventare il responsabile di tutte le attività della Merrill Lynch in Germania, Austria e Svizzera. Sapeva che parlavo tedesco e voleva assolutamente che prendessi quella posizione per aumentare significativamente la quota di mercato della banca nella regione. Gli ricordai che ero italiano e che era inusuale che attività tedesche fossero gestite da un italiano, lui mi disse che era anche inusuale che un Afro Americano come lui fosse diventato CEO di una delle principali banche d’affari di Wall Street… gli americani sono fantastici perché per loro tutto si può fare basta solo volerlo… una attitudine positiva che mi sono sempre portato con me! Accettai quindi l’offerta, mi trasferii a Francoforte e lì trovai come consulente della banca Lothar Spaeth, un signore di circa 70 anni che era stato Governatore del Baden Wuerttemberg e che quindi conosceva a menadito il “sistema tedesco”. Diventammo grandi amici, lui mi spiegava la politica tedesca e i legami di business, io gli spiegavo i mercati. Fu una collaborazione eccezionale, gestimmo alcune delle operazioni più importanti del tempo e soprattutto capii cosa significa veramente “economia sociale di mercato”, cioè il positivo rapporto pubblico-privato cosi tipico della social democrazia tedesca. E arriviamo all’ultimo capitolo. Nella primavera del 2008 Joe Ackermann e Juergen Fitschen, allora rispettivamente CEO e Deputy CEO della Deutsche Bank mi chiesero di passare a trovarli in ufficio, nelle famosissime “due torri”, la sede centrale della banca a Francoforte. Volevano che ritornassi alla Deutsche Bank e mi trasferissi a Milano per diventare il Chief Country Officer per l’Italia, il secondo mercato per il Gruppo Deutsche Bank dopo la Germania. Un’offerta difficile da rifiutare ma che avrebbe di fatto concluso i miei 20 anni all’estero. Chiamai Mario Draghi, allora Governatore della Banca d’Italia per un consiglio sul da farsi. Mi incitò ad accettare l’offerta della Deutsche Bank e quindi nel settembre del 2008, a 44 anni, rientrai in Italia per gestire una realtà finanziaria molto significativa. Con più di 5.500 collaboratori e tutte le linee di business presenti in Italia – dalla banca tradizionale alla banca d’affari, dal risparmio gestito al credito al consumo – Deutsche Bank Italia rappresenta una bellissima sfida manageriale. La tempistica del rien- tro non fu delle più felici. Nel settembre del 2008 fallì Lehman Brothers e cominciò quindi un lungo periodo di crisi che sta finalmente finendo in questi tempi. Si dice che nelle difficoltà si tempra l’uomo, è sicuramente vero, ma gestire una impresa in periodi di crescita è sicuramente più facile! Ho imparato molto in questi anni, sia dal punto di vista manageriale che dal punto di vista istituzionale e sociale. Il nostro Paese è in un momento di cambiamento e si parla spesso di rientro delle professionalità dall’estero in Italia, ma il processo di reinserimento si scontra con degli equilibri storici sedimentati nel tempo. Ciò detto, molte persone mi hanno aiutato in questo mio cammino italiano, in primis i miei colleghi della Deutsche Bank e i CEOs delle prime banche italia- ne, sempre prodighi di consigli nei miei confronti. Al di fuori del mondo bancario, devo sicuramente ringraziare il Presidente Giuliano Amato che mi ha insegnato l’architettura istituzionale della Repubblica Italiana e la Professoressa Paola Severino, punto di riferimento per i temi legati alla Giustizia. Abbiamo altresì lavorato, nell’ambito delle nostre competenze, a rafforzare il rapporto tra la Germania e l’Italia, e di questo siamo molto fieri. Gli incontri di Torino tra i rispettivi Presidenti della Repubblica e l’incontro annuale della Confindustria Tedesca e Italiana a Bolzano ne sono, forse, i due esempi più cristallini. È importante proseguire questo cammino di reciproco scambio proficuo. E per il futuro? Il mondo bancario è entrato in un periodo di cambiamenti radicali dovuti al nuovo impianto regolamentare, alla digitalizzazione, ai tassi bassi e, in generale, al ruolo della banca come azienda che deve creare valore per tutti gli “stakeholders” in maniera sempre più responsabile. Dobbiamo rivedere il nostro modello di business e la nostra organizzazione per renderla compatibile al nuovo contesto di riferimento. È un’altra bellissima sfida, e siamo pronti, come sempre, ad affrontarla!