Furlan (Cisl) : “L’Articolo 18 è una discussione del secolo scorso”

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Si torna a dibattere in questi giorni di Jobs Act, la famigerata riforma del lavoro varata da Matteo Renzi nel 2015, che prevedeva (anzi prevede) licenziamenti più facili, l’abolizione dell’Articolo 18, indennizzi irrisori per chi viene ingiustamente mandato a casa e altre modifiche che hanno precarizzato e reso più vulnerabili i lavoratori. Una legge che, dati alla mano, non ha incrementato l’occupazione (nonostante i contributi a pioggia alle aziende) ma ha aumentato la precarietà.

A riaccendere il dibattito è stato il ministro Roberto Speranza, che ha proposto di “rivedere” il Jobs Act e ripristinare l’articolo 18. Apriti cielo. A bocciare senza appello la proposta di Speranza è stato il partito di Renzi, Italia Viva, che per bocca della sua segretaria, Teresa Bellanova, ha subito risposto con un secco no: “Altro che rivedere il Jobs Act – ha sentenziato – la priorità è far ripartire il Paese”. Come se le due cose fossero necessariamente incompatibili. Dello stesso avviso è Andrea Marcucci, presidente dei senatori Pd che con tono perentorio ha dichiarato: “Il Jobs act non si tocca, occorre spingere sulla crescita”. Anche qui, crescita e diritti dei lavoratori, per Marcucci, sembrerebbero concetti incompatibili.

Ma ancora più sorprendenti, ma fino a un certo punto, sono le dichiarazioni della segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan secondo cui, “L’articolo 18 è una discussione del secolo scorso”. Ora, a parte che non si capisce perché il secolo scorso debba essere sempre richiamato con un’accezione negativa. Tutte le grandi conquiste sociali e politiche più importanti sono del secolo scorso, e semmai nel nuovo secolo si è operato per demolirle. Persino i sindacati sono strutture del secolo scorso ma questo non significa che non continuino ad avere una funzione sociale decisiva. E, a occhio, diremmo che anche Furlan è del secolo scorso. Ma il punto è che risulta francamente incomprensibile come una figura che rappresenta i lavoratori, si possa unire al coro di chi vorrebbe cancellarne i diritti. “Abbiamo 300mila lavoratori coinvolti in crisi aziendali, con l’articolo 18 non ne salviamo nemmeno uno”, ha pontificato la segretaria della Cisl. “Abbiamo invece bisogno di impostare una politica industriale per salvare i lavoratori. Non mi interessa un dibattito che riporta a divisioni ideologiche, mi sembra solo un modo per distogliere l’attenzione”. Ora, per carità, senza voler distogliere l’attenzione di Furlan dall’incessante attività di salvaguardia dei lavoratori delle aziende in crisi, vorremmo far notare che le aziende sono, appunto, in crisi, pur in presenza del Jobs Act e pur in assenza dell’Articolo 18. Non è che forse l’equazione meno diritti più crescita è del tutto sballata? Non è che i problemi dei lavoratori non si risolvono togliendo diritti ai lavoratori? E infine ci sarebbe da chiedersi: è più ideologico volere l’Articolo 18 o non volere l’Articolo 18? Ai posteri del secolo prossimo l’ardua sentenza.

Fortebraccio News