Geloni: Prodi ha ragione, i 101 sono ancora lì. Dentro il Pd, ma anche fuori

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I 101 che affossarono Romano Prodi sono ancora lì: il Professore li rievoca in una intervista. Appena un passaggio su quella notte tra il 18 e i 19 aprile 2013 che fermò la sua ascesa al Colle più alto di Roma e pose fine al Pd nella forma conosciuta fino ad allora. Chiara Geloni, in quelle ore, era al fianco a Pierluigi Bersani, segretario del Pd, ‘non vincitore’ delle elezioni politiche di marzo, in cerca di una maggioranza per andare a Palazzo Chigi. Su quei fatti si è soffermata in due libri: “Giorni Bugiardi”, scritto in coppia con Stefano Di Traglia, e “Titanic”.

Interpellata dall’AGI, Geloni ricorda i passaggi cruciali di quella vicenda e aggiunge alcuni particolari, come il mail-bombing che bersagliò i giovani eletti del Pd perché votassero contro la linea del segretario: “Quello che Romano Prodi dice sui 101 è una battuta, ma è vera. I 101 ci sono ancora in Parlamento, molti sono stati ricandidati, forse non ci sono tutti perché nel frattempo il Pd ha ridotto i suoi eletti, è passato dal 25 per cento al 18 per cento e non ha gestito il premio di maggioranza come fatto da Bersani nel 2013”, sostiene Geloni. Ma chi sono i 101? “Sono sparsi in tante anime del Pd, non rispondenti a un unico capo, alcuni inconsapevoli, altri funzionali al Pd che sarebbe arrivato, quello della segreteria Renzi e della presidenza Orfini. Nei giorni del ‘tradimento’ io ero consigliera politica e della comunicazione di Pierluigi Bersani”. Una storia che, se non rievocasse il Disney della carica dei 101, potrebbe prendere in prestito il titolo del film ‘Le ultime 24 ore’.

“Tutto accadde in due giorni. La vicenda comincia con l’affondamento della candidatura di Marini, quello è stato il vero tradimento e Bersani aveva cercato di proporre un nome che rispondesse alle indicazioni dell’assemblea: un nome forte, democratico, che potesse essere votato anche dal centrodestra di Berlusconi, alla prima votazione. Questo aveva detto l’assemblea e Bersani, con Marini, si era attenuto scrupolosamente a questa indicazione. Marini era tra i fondatori del Pd, era un cattolico, sindacalista, sarebbe potuto essere il Pertini cristiano, come ebbe a dire Bersani”. Qui, però, si cominciarono a registrare i primi scricchiolii nel Pd: “Una parte del partito intravvide in questo un inizio di inciucio con Berlusconi. Ma ci fu dell’altro: questa proposta ebbe pressioni forti dall’esterno. Si trattò del primo caso in cui il popolo dei social si fece sentire forte dalla politica e la influenzò: non era ancora molto diffuso Twitter, ma c’era Facebook. E le e-mail. Molti nostri deputati e senatori furono oggetto di mail bombing, soprattutto i più giovani. E di giovani nel Pd, Bersani ne fece eleggere tanti. Il gruppo del Pd era un gruppo giovanissimo, Bersani scelse molti ragazzi e ragazze dal territorio. Non si capì mai da chi partì questo mail bombing, ma certo qualcuno ne approfittò per porre fine alla leadership di Bersani ed evitare che arrivasse a Palazzo Chigi. Si respirava un clima di ostilità nei suoi confronti”.

Per Geloni, in ogni caso, “dopo l’affossamento di Marini, le dimissioni di Bersani erano già cosa fatta. Si riunì una sorta di gruppo dirigente ristretto, con Bersani, Franceschini e Errani. Si decise di salvare il salvabile proponendo il nome del fondatore e cambiando strategia. Fu scelto il nome più forte possibile, che fosse accettabile anche dal M5s. Ricordo che alle “quirinarie” quello di Prodi era uno dei nomi in campo. Se dopo il terzo scrutinio si fosse visto che c’erano i voti per andare avanti, al quarto Prodi sarebbe stato eletto”.

Andò diversamente. “Bersani, rendendosi conto che il gruppo si ribellava alla sua strategia, decide di ripartire daccapo. Chiese ai gruppi di pronunciarsi su un nome, incaricò gli uffici del Pd di predisporre urne e schede, e disse: vi chiedo di proporre un nome. Aggiunse che lui ‘personalmente’, non da segretario – proponeva il nome di Romano Prodi. E lì ci fu la famosa ovazione, che io ricordo come un boato che fece tremare la sala del Capranica. Ho visto anche Andrea Marcucci avanzare braccia alzate, applaudendo. Lui nega, ma io ho questa immagine ben impressa nella mente, tanto più che Marcucci è uno dalla presenza ‘forte’, riconoscibile. Quindi, la candidatura di Prodi passò per acclamazione. Le cose, in Parlamento, andarono diversamente. Una ultima annotazione: i renziani la sera prima si erano riuniti da Eataly. In quella occasione, ci fu una agenzia che batté le parole di un partecipante: ‘Il cavallo azzoppato va abbattuto’”.