Giachetti: “Riformisti, c’è posto”

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Un progetto comune, a lungo termine (obiettivo il 2023) come alternativa all’opzione sovranista.

Vorrei provare a inserirmi nel dibattito che da qualche giorno si sta aprendo su una possibile alternativa politica all’opzione sovranista/populista che ci ha travolto in questi anni. Anch’io, come molti, penso che vi sia uno spazio vasto per chi crede che il riformismo, lo stato laico e la cultura liberale siano l’unica via vincente da contrapporre al populismo e al sovranismo.

Non c’è da girare molto attorno all’alternativa, riempire questa prateria è l’unica possibilità per far tornare marginali un pensiero e una pratica politica che, nonostante i sondaggi e il recente consenso, mal si addicono al nostro paese. Soffermiamoci sui numeri esponenziali accostati ai sovranisti: che siano sondaggi o voti espressi, ci rendiamo conto che quei numeri così alti in percentuale, se misurati sull’intero corpo elettorale e su coloro che a vario titolo votano per un’opzione riformista, sarebbero molto meno consistenti e, addirittura, residuali rispetto ai secondi.

Al momento c’è circa un 40 per cento di elettori che, insoddisfatti delle attuali offerte politiche, non partecipano al voto, si astengono o votano scheda bianca. C’è almeno un altro 10 per cento che già ora vota partiti che della scelta riformista hanno fatto il loro core business e, certamente, almeno altrettanti che, pur militando in partiti tradizionali, si trovano in grande difficolta (per usare un eufemismo) e attendono un’alternativa.

Possiamo quindi dire che esiste una fetta di elettorato e una larga classe dirigente che potenzialmente potrebbe già ora essere maggioritaria nel paese ma che non lo è per mancanza di lungimiranza, di generosità, di responsabilità e per la prevalenza di particolarismi, di tatticismi o fittizie differenziazioni che hanno come unico risultato di far prevalere una cultura e una politica che, resto convinto, sono in realtà minoritarie.

Come fare quindi per uscire da questa situazione bloccata dando respiro e pieno sviluppo al progetto riformista? Non è certo semplice, ma i primi tentativi fatti da Renzi, Calenda e Bonino per alcune candidature di “area” in talune competizioni amministrative sono importanti anche come metodo da coltivare e implementare. Ovviamente se rimangono solo accordi tattici ed estemporanei non solo lasciano il tempo che trovano ma produrranno l’ennesima delusione in chi crede che sia arrivato il tempo per una grande sfida alla quale partecipare e contribuire.

Partendo da qui, pur nella consapevolezza delle tante difficoltà da superare, penso sia necessario implementare il lavoro su due fronti: sul metodo e sul merito. Sul metodo è necessario che tutto il variegato mondo riformista cominci a incontrarsi, a parlarsi, a confrontarsi. Non penso solo a Italia Viva, Azione e più Europa ma anche ai socialisti (girando per iniziative mi sono reso conto che la “rete” socialista nel nostro paese, ancorché sotterranea e spesso marginalizzata, ancora esiste ed è più consistente di quanto si pensi). Ci sono poi i Verdi. L’attualità della questione ambientale (che impone riforme e cambiamento) pone al Sole che ride un’indispensabile scelta: contribuire alla strada del riformismo, come accade per esempio in Germania, dismettendo i panni dell’integralismo, oppure continuare ad arroccarsi su una linea che, caso anomalo in Europa, li rende marginali e ininfluenti nelle istituzioni e nel paese. Ci sono i Radicali più legati alla storia di Marco Pannella che, a dispetto delle apparenze o della volontà di qualcuno, sono tutt’altro che marginali su temi decisivi nel campo dei diritti civili e della giustizia giusta. C’è poi quella parte di centrodestra di tradizione moderata e liberale che non vuole finire fagocitata nel calderone del sovranismo più estremo. Questo il quadro. Credo che oggi sia arrivato il momento di parlarsi e di provare a costruire invece che dividersi.

Non è solo un problema di metodo, perché se lo fosse sarebbe solo una somma tra le parti, una tattica di riposizionamento, un gioco che non guarda agli elettori ma al ceto politico che vorrebbe rappresentarli. E allora diventano decisivi il merito, i contenuti, le proposte per il paese. Questo è il lavoro più duro e impegnativo, il terreno con maggiori insidie. Ma questa è anche la sfida di cui l’Italia ha bisogno.

Carlo Calenda oggi giudica impossibile un lavoro comune che vada oltre alcuni appuntamenti amministrativi, fintanto che Italia Viva resterà al governo con il M5s. Io penso, al contrario, che così si rischia di perdere una grande opportunità, e per una ragione molto semplice: se noi pensiamo che questa “rivoluzione riformista” si possa realizzare in un attimo e senza fatica, sbagliamo.

Ma se noi ci diamo come obbiettivo il 2023, il governo del paese nella prossima legislatura, se ci dedichiamo davvero a questo, lavorando a un programma per l’Italia, possiamo tranquillamente prescindere dal contingente di un governo che, come noto, ci vede partecipi, e non senza difficoltà e contraddizioni, per porre rimedio a quella che abbiamo definito una situazione di emergenza.

So bene che per Carlo, Emma e molti altri era molto meglio andare a votare, che il gioco non vale la candela, ma penso che sia del tutto inutile e politicamente miope immolare sull’altare di questa differenza di valutazione il valore e la portata di un obiettivo strategico che abbia la forza di non farsi condizionare dall’oggi ma sappia guardare al domani.

Al domani di un paese che ha bisogno di recuperare fiducia, speranza, orgoglio e crescita. Credo che quindi sia proprio questo il momento di mostrare tutti responsabilità e generosità. Se, tutti e ciascuno, per meri interessi “particulari” rinunciamo in partenza alla realizzazione di un comune progetto riformista ci assumiamo una responsabilità, a mio avviso, imperdonabile. Evitiamo di lasciarci sfuggire questa occasione.