Il tema del senso di colpa, nella letteratura contemporanea, è stato declinato secondo due schemi. L’uno, riconducibile a Dostoevskij: la colpa cerca il castigo. L’altro a Kafka: il castigo trova la colpa. Nel libro di Michele Comper, “Giuseppe” (la Rondine edizioni, pp. 192, € 14,90), invece, c’è la colpa senza più il castigo.
Michele Comper (Rovereto, TN, 1967), giornalista, già collaboratore de “l’Adige”, lettore e rilettore di romanzi classici, dà alle stampe un geniale remake traslato d’un secolo, capovolto nella traiettoria e simmetrico nell’esito de “Il processo” di Franz Kafka. “Giuseppe” è un romanzo distopico, nel quale l’autore rappresenta la nostra società in un futuro assai prossimo, ma prevedibile sulla base delle tendenze odierne. Il protagonista, Giuseppe, è schiacciato dal senso di colpa per aver ucciso un uomo accidentalmente. Ma nella società della post-verità e del relativismo etico, non c’è posto per il rimorso.
Il protagonista, sempre più ossessionato dalla colpa, dopo aver trovato la forza di una visita sulla tomba della sua vittima, perderà la vita travolto da un’automobile. Il senso di colpa non si estinguerà con la sua morte ma si trasferirà al suo investitore. Come in un loop esistenziale dove la fine e l’inizio coincidono. Se l’alter ego di Kafka, l’innocente Joseph K., è stato vittima di una giustizia onnipotente, quella dell’epoca dei regimi totalitari, il colpevole Giuseppe lo è di una giustizia impotente, quella dell’epoca dell’individuo. Una metafora ironica e spietata della nostra società.