Giustizia, carceri: torna in esame alla Consulta il decreto anti-scarcerazioni

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Il 4 novembre torna all’esame della Corte costituzionale il decreto ‘anti-scarcerazioni’, approvato dal Consiglio dei ministri a maggio e che impone ai giudici di rivalutare i provvedimenti di detenzione domiciliare, concessi ai detenuti per ragioni di salute legati all’emergenza Covid-19. Un provvedimento voluto dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, dopo le tante polemiche che lo avevano investito – con richieste dimissioni da parte dell’opposizione – sulle scarcerazioni disposte dai magistrati di detenuti condannati per gravi reati, compresi boss di mafia, camorra e ‘ndrangheta.
Già nei mesi scorsi la Consulta era stata investita dei dubbi sulla legittimità costituzionale di alcune norme del decreto, da parte di alcuni uffici giudiziari. Tuttavia la Corte allora ritenne di rinviare gli atti a quei giudici, perchè valutassero se le questioni sollevate fossero ancora rilevanti, dopo le modifiche introdotte in sede di conversione del decreto. Nodi che restano, secondo i giudici di sorveglianza di tre diversi tribunali (capofila è Sassari che dispose i domiciliari per Pasquale Zagaria ,ritenuto la mente economica del boss dei Casalesi e tornato in cella al 41 bis a settembre). E che ora la Consulta dovrà sciogliere.

Al centro dell’attenzione la norma che prevede che il provvedimento di concessione della detenzione domiciliare o di differimento della pena, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid-19 dei condannati e degli internati per una serie di gravi reati, vada rivalutato entro 15 giorni e poi con cadenza mensile, se non immediatamente, nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta. Secondo il giudice di sorveglianza di Sassari, l’obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare secondo la scansione indicata dal provvedimento invaderebbe la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria e violerebbe il principio di separazione dei poteri, tanto più applicata retroattivamente ai provvedimenti già adottati a decorrere dal 23 febbraio 2020. Ci sarebbe anche un contrasto con gli articoli 32 e 27 della Costituzione (tutela dell salute e della umanità della pena), perchè nella procedura istruttoria prevista è assente ogni riferimento a una verifica delle condizioni di salute del detenuto malato, visto che è previsto solo il monitoraggio dell’effettiva persistenza delle condizioni di emergenza epidemiologica che hanno inciso sull’apprezzamento, da parte del magistrato o del tribunale di sorveglianza, dell’impossibilità della prosecuzione del regime carcerario.

Dubbi anche sul rispetto dell’articolo 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento. Questo, perchè sulla base di una presunzione di pericolosità correlata soltanto al titolo di reato e al regime detentivo, si individua all’interno della platea dei detenuti ammessi ai provvedimenti umanitari in ragione dell’emergenza sanitaria, una categoria di reclusi destinataria di un procedimento di frequente rivalutazione “marcatamente teso al ripristino della detenzione carceraria”